“I semi garantiscono la nostra sopravvivenza”: le donne della Guinea-Bissau che tengono in vita piante e colture vitali

Zucca, mais, cipolle e semi di riso, le varietà ancestrali conservate dalle donne Bijagós resistono con difficoltà ai parassiti e al clima rigido della regione

Nell’Africa occidentale, nell’Atlantico e in uno dei più piccoli Stati del continente, la – Guinea Bissau – c’è un arcipelago fatto di remote isole rurali. È l’arcipelago di Bijagos, la cui zona settentrionale è occupata delle Isole Urok, a loro volta composte da tre isole abitate (Formosa, Nago, Chediã), oltre che da diverse isole sacre.

Ed è qui che si cela la meraviglia: le Urok (area marina protetta comunitaria dal 2005) ospitano la più grande concentrazione di uccelli acquatici migratori, e poi lamantini, delfini, coccodrilli e lontre. La sua fitta copertura di mangrovie e le coste sabbiose e le insenature sono la casa preziosa di pesci, crostacei e molluschi, mentre all’interno delle isole i palmeti si alternano alle savane erbose e arbustive e a fitte foreste, dove prosperano cibo selvatico e piante medicinali.

Uno scrigno dal valore immenso, in cui c’è qualcosa di altrettanto straordinario: un gruppo unico di donne, “le custodi del seme”, contadine che preservano i cereali ancestrali dei Bijagós.

I semi creoli

Sotto l’ala della ONG della Guinea-Bissau Tiniguena, qui il progetto Women Keepers of Agricultural Biodiversity Seeds mira a conservare le piante creole e i loro preziosi semi.

Il gruppo etnico Bijagó abita diverse isole dell’arcipelago, riserva della biosfera dell’Unesco, e i semi creoli sono stati tramandati di generazione in generazione e tuttora sono vitali per la sopravvivenza dei Bijagós. Si tratta di varietà e specie, dal mais al riso all’arachide, che resistono ai parassiti e al clima feroce della regione, sempre più caldo a causa della crisi climatica globale.

Il progetto ha già formato più di 150 donne nella cura dei semi, con 12 donne elette come custodi di semi.

Questo è il mio lavoro nella natura. Le donne sono la madre di tutto, quindi le donne si prendono cura dei semi più degli uomini. Le donne sono la terra, gli uomini il cielo. Le donne partoriscono, gli uomini no, quindi le piante sopravvivono grazie alle donne, dice Sábado Maio, 70 anni.

Nata nella tabanka (villaggio) di Canhabaque, su Ilha Formosa, il suo orto vanta 19 varietà di colture e un banano, ma il suo terrore è che le piogge possano distruggerlo.

Sono un custode perché ho visto i miei nonni farlo. Conosco l’importanza di avere semi per garantire il nostro modo di sopravvivere, racconta, in una lingua che è anch’essa in pericolo: il Bijagó è parlato solo dagli anziani.

Conservo semi di pomodorini, zucca, gombo, cetriolo, melanzana, mais, riso, igname e lime, racconta invece Anjuleta Gomese. Una volta essiccati al sole, i semi vengono messi in un barattolo asciutto. Ci metti un po’ di cenere sopra, per tenere lontani gli insetti, e lo chiudi bene. C’è un segreto per preservare ogni tipo di seme, dice.

In Guinea-Bissau, come in molti Paesi africani, sono soprattutto le donne a svolgere i lavori pesanti della terra. Nelle comunità rurali, donne e ragazze assicurano l’approvvigionamento idrico e l’energia domestica. Ma, secondo Tiniguena, meno dell’1% di queste donne possiede la terra che coltiva, a causa di leggi e costumi che le discriminano.

Il gruppo etnico Bijagós rappresenta il 2% della popolazione totale della Guinea-Bissau. Ruoli sociali specifici sono organizzati in base al sesso e all’età, con cerimonie in cui le persone si spostano da un gruppo di età all’altro.

Le coltivazioni da reddito  e il clima

Non solo crisi climatica, ma anche coltivazioni da reddito come quelle degli anacardi.

A minacciare le “custodi dei semi” anche qui è l’uso improprio di acqua e suolo: la terra che circonda le coltivazioni di anacardi – che prendono sempre più il posto delle palme – assorbe infatti tutte le risorse vicine in modo che non si possa produrre nient’altro.

A peggiorare le cose? La crisi climatica, ovvio.

Le Isole Urok soffriranno per l’innalzamento del mare e qualunque cosa accada all’agricoltura accadrà prima qui, denunciano le popolazioni indigene.

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Fonti: The Guardian / Tiniguena

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