Secondo alcuni ricercatori, servono altri studi per avere certezze su esposizione al glifosato
Alcuni studiosi hanno messo in evidenza la scarsità dei dati sui livelli di glifosato tra gli individui esposti per uso professionale, parentale o ambientale all’erbicida. È per questo che, secondo una nuova revisione, sarebbe difficile comprendere l’entità dell’esposizione complessiva e in popolazioni vulnerabili come i bambini
Glifosato, quanti dilemmi. Quel che è certo è che si tratta di diserbante ad ampio spettro e di un disidratante della cui effettiva esposizione in pochi hanno valutato l’entità e la quantità.
È l’ipotesi azzardata da alcuni ricercatori, che hanno preso nuovamente in esame i livelli documentati di esposizione umana tra i lavoratori negli ambienti professionali e la popolazione generale, arrivando a una conclusione: “è difficile comprendere appieno l’entità dell’esposizione complessiva del glifosato in genere e in popolazioni vulnerabili come i bambini”.
Secondo lo studio pubblicato su Environmental Health, coordinato da Christina Gillezeau, infatti, nonostante l’uso crescente e diffuso del glifosato, pochissime ricerche avrebbero valutato effettivamente l’entità e la quantità dell’esposizione umana.
Per questo motivo, gli studiosi hanno portato a termine una revisione delle pubblicazioni scientifiche sui livelli di glifosato negli esseri umani. Sono stati identificati 19 studi, di cui cinque sull’esposizione professionale al glifosato, 11 sull’esposizione in popolazioni generali e tre su entrambi.
Otto studi hanno riportato tracce nelle urine in 423 soggetti esposti per professione e per occupazione professionale; 14 hanno individuato livelli di glifosato in vari biofluidi su 3298 soggetti appartenenti alla popolazione in generale, mentre soltanto due studi hanno misurato le tendenze temporali nell’esposizione ed entrambi mostrano proporzioni crescenti di individui con livelli rilevabili di glifosato nelle urine nel tempo.
Ebbene, il risultato cui sono giunti Gillezeau e il suo team è che è evidente scarsità di dati sui livelli di glifosato tra gli individui esposti per uso professionale, parentale o ambientale all’erbicida e che, per questo, risulterebbe complicato capire appieno l’entità dell’esposizione complessiva e in popolazioni vulnerabili come i bambini.
“Raccomandiamo ulteriori lavori per valutare l’esposizione tra le popolazioni e le regioni geografiche, ripartire le fonti di esposizione (ad esempio, professionale, uso domestico, residui di cibo) e comprendere le tendenze nel corso del tempo”, chiosano i ricercatori.
Una revisione, insomma, che pare ribaltare le certezze sinora acquisite e se l’Europa lo ha “salvato” per altri cinque anni, il pesticida più famoso al mondo continua a essere indicato dallo Iarc come potenzialmente cancerogeno.
Ma è sempre in circolazione e non solo nelle colture intensive.
Quale sarà, insomma, il futuro del tristemente famoso erbicida?
La Sicilia verso il divieto del glifosato
Intanto le istituzioni locali continuano a muoversi verso i divieti. Ultima in ordine temporale la Sicilia, che si è posta obiettivi ambiziosi: l’abolizione dell’uso del glifosato, appunto, e anche dei neonicotinoidi (insetticidi letali per le api e molti altri insetti pronubi) in tutti gli ambiti, sia agricoli che civili, e la conversione in biologico entro il 2025 di tutte le produzioni agricole dell’isola. L’iniziativa in disegno di legge dedicato alla difesa della salute, delle acque superficiali e sotterranee, del suolo e dell’agricoltura – sette articoli in tutto- con prima firmataria Valentina Palmeri.
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Germana Carillo