Glifosato e erbicidi tossici inquinano i terreni del Nord America non soltanto per quanto riguarda l’utilizzo in agricoltura. I ricercatori dell’Università del Minnesota ora chiedono a chi gestisce i terreni di documentare meglio l’impiego dei diserbanti.
Glifosato e erbicidi tossici inquinano i terreni del Nord America non soltanto per quanto riguarda l’utilizzo in agricoltura. I ricercatori dell’Università del Minnesota ora chiedono a chi gestisce i terreni di documentare meglio l’impiego dei diserbanti.
Inizialmente gli erbicidi erano stati sviluppati per eliminare le erbacce nei campi agricoli ma oggi vengono ampiamente impiegati nelle aree naturali degli Stati Uniti per liberarsi delle piante non autoctone arrivate da altre regioni.
Mentre il massiccio impiego di erbicidi è ben documentato per quanto riguarda i campi coltivati, il nuovo studio è il primo a rivelare il quantitativo di erbicidi usati nelle aree verdi non agricole. I ricercatori dell’Università del Montana hanno scoperto che più di 1,2 milioni di acri di terreno federale e tribale degli Stati Uniti sono stati irrorati con 200 tonnellate di erbicidi nel 2010.
“Queste cifre sono inferiori a quelle riportate per i campi coltivati ma sono comunque scioccanti” – ha dichiarato Viktoria Wagner, che ha condotto lo studio. La superficie di terreni coinvolta è paragonabile a quella di 930 mila campi da calcio mentre il quantitativo di erbicidi utilizzato pesa con 13 scuolabus.
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Lo studio ha inoltre individuato che il glifosato è la sostanza più utilizzata come erbicida. Si tratta di un dato piuttosto inatteso visto che il glifosato è un erbicida non selettivo che danneggia tutte le piante e che quindi ha il potenziale di eliminare anche le specie autoctone, non soltanto le erbacce e le specie indesiderate provenienti dall’estero.
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Secondo i ricercatori il glifosato è così popolare perché costa poco e perché non ci sono grandi restrizioni al suo impiego. Ora gli esperti vogliono ampliare i metodi di monitoraggio sull’uso e sugli effetti degli erbicidi nella speranza di gestire meglio la loro diffusione. Lo studio in questione è stato pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Applied Ecology.
Marta Albè