Gli scienziati rivelano lo “sporco” segreto per una tazza di tè più buona e gustosa

I ricercatori hanno scoperto che la presenza di determinate comunità microbiche sulle foglie di tè migliorerebbe la qualità e il gusto della bevanda finale

Pensavate che il gusto del tè dipendesse solo dalla varietà della pianta utilizzata? Ebbene, uno studio cinese ha appena svelato un ingrediente chiave inaspettato che farebbe la differenza e renderebbe più buona e gustosa la bevanda più amata del mondo.

Stando a quanto scoperto dai ricercatori della Fujian Agriculture and Forestry University, la qualità e il gusto del tè sarebbe strettamente legato alla “comunità microbica” presente nelle radici: in altre parole, i microbi influenzano il modo in cui la pianta assorbe i nutrienti, determinando il gusto e l’aroma del tè.

Lo studio

La Cina vanta una tradizione millenaria nella coltivazione delle piante di tè, con numerosissime varietà esportate in tutto il mondo.

La sfida della modernità è rappresentata dalla volontà di migliorare la qualità del tè attraverso metodi di selezione genetica molecolare, per rendere questo prodotto sempre migliore e più appetibile.

Per approfondire la relazione fra comunità microbica e sapore del prodotto finale, i ricercatori hanno confrontato diverse varietà di tè, e sono giunti a una scoperta sorprendente.

Le varietà di tè che sulle radici ospitavano una specifica combinazione di microbi erano anche quelle con una concentrazione più elevata di teanina, un aminoacido che conferisce al tè il suo sapore umami.

Questa particolare comunità microbica già presente in natura è stata poi riprodotta in laboratorio e innestata su diverse varietà di piante di tè povere di teanina.

Ciò ha portato a un aumento della concentrazione di questo amminoacido e, di conseguenza, a un miglioramento del gusto del tè in tazza.

Oltre al miglioramento del gusto del tè in tazza, c’è un altro inaspettato vantaggio nella presenza di specifiche comunità microbiche sulle radici delle piante.

Si è osservato, infatti, un miglioramento nella resa delle piante – sia quelle di qualità più basse che quelle di qualità più pregiate – anche in terreni “difficili”, come quelli poveri di azoto.

Quindi, la presenza di comunità microbiche come quella oggetto dello studio potrebbe portare a una riduzione nell’utilizzo di fertilizzanti chimici, riducendo i costi di produzione della materia prima ma soprattutto l’inquinamento dei terreni.

I ricercatori hanno allargato l’analisi della relazione fra comunità microbiche e resa delle piante anche ad altre colture, come l’arabetta (Arabidopsis thaliana), dimostrando che questa strategia potrebbe essere utile per migliorare la qualità di diverse coltivazioni.

Ad esempio, potrebbe consentire di migliorare la resa di piante come il riso, aumentando l’apporto proteico di questo cereale e fornendo una soluzione alla crisi alimentare che colpisce molti Paesi del mondo.

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Fonte: Current Biology

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