I cambiamenti climatici hanno decimato anche le forniture di caffè e quindi oggi 1° ottobre, Giornata internazionale del caffè, non c’è molto da festeggiare. C’è da riflettere e in realtà soprattutto è necessario agire
Nella Giornata internazionale del caffè, tuona un altro monito: le forniture di caffè scarseggiano (e i prezzi salgono), anche questo per colpa dei cambiamenti climatici. L’ennesima spia di allarme di un disastro ecologico di cui l’uomo è la principale causa.
Uno studio dello scorso gennaio condotto dalla Zurich University of Applied Sciences “riecheggia” oggi come un monito: nella Giornata internazionale del caffè non abbiamo davvero nulla da festeggiare.
E gli effetti si vedono già ora (e la colpa non è solo il caro vita): una tazzina al banco arrivata a costare 1.10 euro in media in tutta Italia. Ma sono sempre di più gli esercenti che hanno aggiornato i listini fissando il costo a 1.50 euro. Un fenomeno che era stato anticipato e ampiamente previsto dall’allarme lanciato dalle associazioni di categoria.
L’impatto del cambiamento climatico sarà devastante poi nel prossimo futuro per i luoghi dove attualmente si produce caffè, anacardi e avocado, con molte di queste aree destinate a diventare ambienti meno adatti per la coltivazione dei loro raccolti attuali. Nel caso del caffè, in particolare, questa tendenza si sta manifestando in tutti i principali Paesi produttori.
Realizzato nell’ambito del progetto CONSUS (CONnecting for SUstainable Sourcing), lo studio modella l’impatto dei cambiamenti attesi sull’idoneità futura delle aree di coltivazione in base a diversi scenari di emissione e quindi di clima. Oltre ai cambiamenti climatici, è stata presa in considerazione anche l’influenza delle proprietà del suolo sull’idoneità dei luoghi.
I risultati dell’analisi suggeriscono le attuali aree di coltivazione del caffè Arabica diventeranno sempre meno adatte a far crescere le piante a causa del cambiamento climatico. D’altro canto, per lo stesso motivo, potrebbero diventare sempre più adatte a tali coltivazioni le aree situate a quote e latitudini più elevate, soprattutto però per anacardi e avocado. Le regioni che in futuro avranno una base di coltivazione migliorata includono Stati Uniti, Argentina, Cina e Africa orientale.
Ma non è comunque nulla che possa “consolare”.
Come riferiscono gli autori del lavoro, infatti, caffè, anacardi e avocado rivestono un’elevata importanza socioeconomica in molti sistemi di agricoltura tropicale di piccoli proprietari in tutto il mondo. Inoltre, trattandosi di colture da piantagione con una lunga durata, la loro coltivazione richiede una pianificazione a lungo termine.
Per questo il lavoro ha utilizzato i risultati climatici di 14 modelli di circolazione globale basati su tre scenari di emissione per modellare gli impatti futuri (al 2050) del cambiamento climatico sulle colture sia a livello globale che nei principali Paesi produttori, prendendo in considerazione come fattori climatici principalmente le lunghe stagioni secche, le temperature medie (alte e basse), le basse temperature minime e le precipitazioni annuali (alte e basse.
Abbiamo riscontrato alterazioni nelle regioni di crescita attualmente adatte a causa del cambiamento climatico con entrambe le regioni di espansione e contrazione future studiate per tutte le colture – si legge sul lavoro – Il caffè si è rivelato il più vulnerabile, con gli impatti climatici negativi dominanti in tutte le principali regioni produttrici
Riusciamo a immaginare un futuro (prossimo) senza caffè?
Il lavoro è stato pubblicato su PLOS One.
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Fonti: Zurich University of Applied Sciences / PLOS One
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