Il vero costo delle fragole sulla nostra tavola: braccianti marocchine umiliate, sfruttate e schiavizzate

Il vero costo delle fragole che portiamo ogni giorno sulle nostre tavole ha il sapore amaro dello sfruttamento delle braccianti marocchine

Quando, con l’arrivo della primavera, mangiamo succose e invitanti fragole siamo spesso inconsapevoli della lunga catena di sfruttamento che ha portato quel prodotto sulla nostra tavola.

Proprio durante il periodo della raccolta, in Spagna, in Italia e nel resto dell’Europa, ogni anno migliaia di braccianti stagionali sono impiegati nelle nostre campagne per la raccolta e il confezionamento delle fragole.

A raccogliere quelle fragole sono spesso donne invisibili, lavoratrici stagionali straniere senza diritti, le cui vite sono logorate dalla fatica e dagli stenti.

Sottopagate, lavorano spesso in nero e sono entrate nel nostro paese in maniera irregolare, senza un “contratto in origine”. Cercano di arrivare da noi alla ricerca di un lavoro e di un certo benessere economico che le possa allontanare dalla propria condizione di miseria, ma quando giungono in Europa si ritrovano ancora più povere.

Il libro di Chadia Arab

Chadia Arab, geografa e ricercatrice francese di origine marocchina, è autrice del libro Fragole. Le donne invisibili della migrazione stagionale, edito dalla Luiss University Press e pubblicato nel giugno 2020. Fragole è il suo primo libro tradotto in italiano.

Arab, esperta di flussi migratori e discriminazioni di genere, vive in Francia dove è docente di geografia sociale e delle migrazioni all’Università di Angers; attraverso un’attenta ricerca sul campo iniziata nel 2012, ha seguito e analizzato il percorso di un centinaio di braccianti marocchine impiegate nella raccolta stagionale delle fragole nella provincia di Huelva, nel sud della Spagna e, in generale, nelle aziende agricole dell’Andalusia.

Si tratta di lavoratrici che rientrano in una dinamica di migrazione circolare, legata ad una convenzione siglata nel 2007  tra Spagna e Marocco allo scopo di avviare profittevoli flussi di migrazione stagionale. Sebbene facciano parte della filiera dell’agroalimentare, la classe politica e i consumatori spagnoli ed europei ne ignorano l’esistenza, ma è proprio grazie a loro che i consumatori possono trovare frutta e ortaggi a basso prezzo negli scaffali dei supermercati.

Fragole racconta come le disparità di genere e le difficoltà dell’emancipazione femminile pervadano anche la filiera agroalimentare, al punto che essere una migrante e lavoratrice donna diventa una sfida incredibile, che può far precipitare queste persone in un un circolo vizioso di sfruttamento che le priva non solo della dignità, ma anche dei più essenziali diritti.

Infatti, lavorare alla raccolta nei campi è un’attività dura e sfiancante, soprattutto quando le umiliazioni e le vessazioni sono prassi quotidiana e non sono sanzionate in alcun modo dallo Stato e dalle istituzioni. Nel 2018 e nel 2019 le lavoratrici stagionali marocchine impiegate nei paesi europei hanno raggiunto quota 1.500. Nel 2009 erano ben 17.000. Ora, con la pandemia di Covid-19 e la conseguente crisi economica, stanno ricominciando a fare ingresso in Spagna.

Scelgono donne sole

Quando le lavoratrici sono donne, ricevono anche minori tutele rispetto agli uomini: sono malpagate, maltrattate e costrette a sostenere turni massacranti. In certi casi, subiscono abusi e molestie sessuali, sono ricattate e intimidite, subiscono violenze psico-fisiche e sono vittime di stupro. Decine di denunce sono scattate negli ultimi tre anni in Spagna, ma alcune non hanno avuto seguito e hanno condotto all’espulsione delle migranti.

Nei paesi di reclutamento vengono selezionate proprio le donne più fragili, contadine a volte analfabete, che versano in gravi condizioni economiche e soffrono di emarginazione sociale. Le convincono a migrare in un paese straniero per diventare forza lavoro non sindacalizzata e a lasciare il paese di ingresso una volta terminata la stagione della raccolta.

Speranze tradite

Saida è una delle protagoniste del libro insieme ad altre quattro donne, una sorta di emblema della vita spezzata, logorata e spazzata via dal tempo e dalle vicissitudini che una donna, sposata, madre single (divorziata o vedova), povera e con figli da mantenere si trova ad affrontare.

Nelle storie delle donne e delle madri lavoratrici marocchine si possono rintracciare sia momenti di cambiamento che di rottura, che talvolta sfociano in percorsi di mobilità; è proprio la scelta obbligata di muoversi, di migrare alla ricerca di un futuro migliore per sé e per i propri figli che arricchisce di speranza l’esistenza di queste donne, volenterose e capaci di reinventarsi e di riappropriarsi di uno spazio economico-sociale che viene loro negato nel paese di origine.

Tuttavia, la precarietà dell’ambiente rurale in cui sono nate e cresciute non le abbandona nemmeno in Spagna, dove sono impiegate come braccianti agricole, spesso senza regolare permesso di soggiorno e senza contratto di lavoro, quindi “clandestine”. Quando non lavorano, alloggiano in periferici prefabbricati abbandonati nei boschi e condividono spazi angusti e indecenti.

Queste donne sole (le donne sposate sono una minoranza), ultimata la raccolta che avviene tra febbraio e giugno, devono necessariamente rientrare in Marocco, dove hanno lasciato i figli minori (solo in rari casi con il padre). Ed è la garanzia del rimpatrio (a parte i casi giudiziari di violenze sessuali che fanno trattenere le marocchine in Spagna) ciò che spinge questo profittevole mercato ad impiegare perlopiù manodopera femminile; donne che già in Marocco svolgevano tali mansioni e che forse, se efficienti, meritevoli e docili, l’anno successivo potranno ritornare in Spagna per la nuova stagione di raccolta delle fragole.

Di fronte a queste nuove ma assurde forme di schiavismo che facciamo finta di non vedere, serve reagire. Occorre sostenere queste donne migranti, che meritano un trattamento non inumano e degradante, ma un lavoro regolarizzato che restituisca loro libertà e dignità. Difendere i diritti umani fondamentali è un compito non solo dei decisori politici ma anche dei singoli cittadini-consumatori, i quali devono pretendere che la filiera agroalimentare sia “pulita” e rispettosa dell’umanità e della legalità.

Fonti: Luiss University Press/Luiss Open

Leggi anche:

Coltivazione dei pomodori: la #filierasporca che macchia l’Italia

Peperoncini al sapore di sfruttamento minorile: la storia dei bambini rarámuri nei campi messicani di jalapeños

 

Condividi su Whatsapp Condividi su Linkedin
Iscriviti alla newsletter settimanale
Seguici su Instagram