Una recente ricerca ha svelato le origini del mais moderno e il suo significato culturale e agricolo nel mondo, rivelando una storia affascinante di evoluzione e interazione tra umani e colture
Il mais rappresenta una delle colture più estese a livello mondiale, essenziale sia per l’alimentazione umana che animale. Questo cereale possiede un profondo valore culturale, in particolare per le comunità indigene delle Americhe. Nonostante la sua rilevanza, per oltre un secolo le sue origini sono state al centro di intensi dibattiti. Recentemente, uno studio pubblicato il 1° dicembre sulla rivista Science ha rivelato che il mais moderno deriva da un ibrido formatosi oltre 5.000 anni fa nel Messico centrale. Questa scoperta è avvenuta molto tempo dopo la prima domesticazione della pianta.
Tale ricerca non solo illumina gli aspetti genetici di una delle colture più vitali a livello globale, ma getta anche luce sulle interconnessioni tra le storie umane e quelle delle loro colture. Jeffrey Ross-Ibarra, professore presso l’Università della California, Davis, e autore principale dello studio, ha sottolineato l’importanza di questo nuovo modello per comprendere le origini e la diffusione del mais e come esso sia diventato un elemento fondamentale nelle diete di tutto il continente americano.
Una storia complessa
In passato, si riteneva che il mais (Zea mays), noto negli USA come “maize”, fosse stato addomesticato una sola volta partendo dalla teosinte, un’erba selvatica, nelle pianure del Messico sud-occidentale circa 9.000-10.000 anni fa. Oltre al suo ruolo cruciale nell’alimentazione, il mais è utilizzato anche per produrre dolcificanti, etanolo e altri prodotti. Tuttavia, recenti studi hanno evidenziato che il genoma del mais moderno incorpora anche tracce di DNA da un secondo tipo di teosinte presente negli altipiani centrali del Messico.
Ross-Ibarra, collaborando con team dagli Stati Uniti, dalla Cina e dal Messico, ha analizzato i genomi di oltre mille varietà di mais e specie selvatiche correlate, scoprendo che circa il 20% del genoma del mais a livello mondiale proviene da questa seconda teosinte degli altopiani. Le nuove scoperte suggeriscono che l’ibridazione con la teosinte degli altipiani, avvenuta circa 4.000 anni dopo la sua prima addomesticazione, ha reso il mais una coltura e un alimento di base diffuso. Questo è supportato anche da reperti archeologici che attestano l’aumentata importanza del mais nello stesso periodo. La nuova varietà di mais si è rapidamente diffusa nelle Americhe e, in seguito, a livello globale. Attualmente, la produzione mondiale di mais ammonta a circa 1,2 miliardi di tonnellate all’anno.
Gli autori dello studio sono ancora alla ricerca dei motivi specifici che hanno permesso alla teosinte degli altipiani di conferire al mais le caratteristiche necessarie per diventare un alimento di base. Tra le ipotesi ci sono geni correlati alle dimensioni delle pannocchie e al periodo di fioritura, che potrebbero aver contribuito a rendere il mais adatto a crescere in latitudini più elevate. L’ibridazione potrebbe aver portato anche al cosiddetto “vigore ibrido”, migliorando le caratteristiche del mais rispetto a quelle dei suoi genitori selvatici. Ross-Ibarra ha osservato che le porzioni genomiche derivanti dalla teosinte degli altipiani presentano meno mutazioni dannose rispetto ad altre parti del genoma.
Gli agricoltori indigeni potrebbero aver riconosciuto e sfruttato le nuove varietà di mais derivanti dall’ibridazione, come suggerito dall’usanza, ancora oggi diffusa tra gli agricoltori messicani, di coltivare mais selvatico vicino ai campi coltivati. Ross-Ibarra e colleghi studieranno la relazione evolutiva tra umani e mais nelle Americhe, analizzando dati genetici e archeologici per comprendere meglio l’origine del mais.
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Fonte: Science
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