Braccianti sfruttati, maltrattati, abusati: il sapore amaro del caporalato nel cibo che portiamo sulle nostre tavole

Tutto quello che portiamo in tavola spesso ha dietro il volto oscuro del caporalato e della condizione dei braccianti.

Lavoro grigio e assenza di contratti, ma anche sfruttamento sessuale ed emarginazione, oltre ad aste al doppio ribasso e truffe. Tutto quello che portiamo sulle nostre tavole spesso ha dietro il volto oscuro del caporalato e della condizione dei braccianti non solo in Italia, ma anche in Spagna e in Grecia. Tre paesi dell’Europa mediterranea accumunati da un unico grande neo: quello dello sfruttamento dei lavoratori.

Esce oggi “E(U)xploitation. Il caporalato: una questione meridionale. Italia, Spagna, Grecia”, il nuovo rapporto dell’associazione ambientalista Terra!, con cui si chiede che il caporalato e le disfunzioni di filiera vengano affrontati una volta per tutte a livello nazionale ed europeo.

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Il dossier racconta la dimensione continentale dello sfruttamento del lavoro agricolo, mettendo in evidenza i vuoti normativi, lo squilibrio nel potere di mercato e la debolezza dei controlli nelle filiere di importanti produzioni dell’Europa mediterranea.

Il rapporto

“E(U)xploitation” è il racconto delle vite degli invisibili europei, ma è anche un’analisi dei processi economici che governano le loro condizioni di vita e di lavoro.

Lo sfruttamento del lavoro è una piaga connessa a un’economia di filiera fragile, che vive di informalità – dichiara Fabio Ciconte, direttore di Terra!. Questa è una realtà non solo nazionale, ma europea. Ecco perché chiediamo che l’Europa si faccia carico con maggiore determinazione delle condizioni sociali ed economiche dei lavoratori agricoli, costretti a vivere in condizioni di invisibilità e precarietà estrema”.

Il 2020 è stato l’anno dell’emergenza sanitaria. L’Europa, temendo che nessuno potesse più coltivare i suoi campi e quindi portare il cibo a tavola, ha finalmente aperto gli occhi di fronte a quegli invisibili senza diritti, che solitamente si spostano di Paese in Paese in base alle stagioni di raccolta. Si è scoperto che la maggior parte della forza lavoro in questi stati è di origine straniera, spesso senza documenti e senza un contratto regolare.

Tuttavia, per parlare di caporalato, c’è bisogno di risalire l’intera filiera agroalimentare e soffermarci sulle pressioni che i soggetti più grandi esercitano sui più piccoli e deboli.

Le pesanti condizioni che la grande distribuzione organizzata impone ai fornitori sono oggetto di una direttiva approvata dal Parlamento e dal Consiglio europeo (2019/633, la cosiddetta direttiva “pratiche sleali”), con l’obiettivo di delineare un quadro di riferimento comune a 27 legislazioni diverse. Entro il mese di maggio, gli Stati membri sono chiamati a recepirla.

Il caporalato in Italia

In Italia il settore agricolo è uno dei principali motori di sviluppo del Sud. È proprio dal Mezzogiorno che arriva il 30% delle esportazioni totali dell’agroalimentare italiano e nell’area si registra un quarto degli investimenti agricoli totali. Piana del Sele, Agro Pontino e Foggiano, sono i campi d’indagine che hanno rintracciato le principali criticità nella forte disgregazione tra gli addetti del settore, nella scarsità di politiche di filiera e nella mancanza di organizzazione del lavoro.

Questi fattori determinano anche il rafforzamento della Grande distribuzione che commercializza il 70% dei prodotti agroalimentari e che vincola i produttori a dure condizioni contrattuali (le aste al doppio ribasso sono un esempio) a volte anche attraverso pratiche vessatorie.

A minare ulteriormente lo sviluppo del comparto, si aggiungono casi di distorsione del lavoro regolare e dei contratti, che costringono i lavoratori a condizioni di vita indecorose. Il lavoro a cottimo è particolarmente presente nell’Agro Pontino, dove i pagamenti sono erogati in base ai “mazzetti” di ortaggi raccolti, che seguendo tabelle del tutto informali, vengono poi convertiti in giornate lavorate. Il fenomeno dei “falsi braccianti” e delle “imprese intermediatrici fittizie” è invece presente soprattutto nel Foggiano. Queste imprese, che non svolgono attività agricola, hanno il compito di inserire negli elenchi agricoli persone che, pur non essendo braccianti, riescono ad accedere ai sussidi dell’Inps. Ma è il lavoro grigio la piaga più presente al Sud. Si basa su un tacito – e spesso obbligato – accordo tra il lavoratore e l’imprenditore agricolo: l’imprenditore si assicura un lavoro continuativo tutto l’anno, ma non registra mai più di 180 giornate, oltre le quali sarebbe obbligato a contrattualizzarlo.

Il caporalato in Spagna

In Spagna, il rapporto indaga il sistema di impiego dei braccianti in agricoltura ad opera delle società di servizi e delle agenzie di lavoro interinale (le ETT). Uno dei campi d’indagine è Murcia, che con i suoi quasi 470mila ettari di terreni agricoli, è anche nota come la “huerta de Europa”, l’orto d’Europa, la terza regione in Spagna per volume delle esportazioni all’estero di frutta e ortaggi freschi.

Ad oggi, i contratti tramite le ETT rappresentano oltre il 55% del totale dei nuovi contratti in tutti i settori nella regione. Il comparto che più pesa in questa percentuale è quello agricolo: dei 490mila contratti firmati nel 2019 nel settore, 366mila sono stati fatti tramite ETT, quasi il 75%.

Il reclutamento spagnolo è diventato un modello europeo: la cosiddetta contratación en origen, il reclutamento diretto di lavoratori in paesi terzi, quasi completamente assorbito dalle migliaia di contratti fatti in Marocco per portare manodopera a Huelva, la provincia andalusa dove si concentra la quasi totalità della produzione nazionale di fragole, di cui la Spagna è primo esportatore mondiale. Un sistema che nasconde tante zone grigie, a cominciare dalla forte discriminazione di genere nei confronti delle lavoratrici marocchine, sottoposte a sfruttamento e violenze fisiche.

Il tutto si innesta su un sistema agricolo affetto da quella che l’organizzazione di produttori COAG ha definito “uberizzazione”, cioè dalla concentrazione del potere e ricchezza in oligopoli, a cui corrisponde sempre più “un’agricoltura senza agricoltori”. L’impoverimento progressivo degli agricoltori, dunque, li spinge a comprimere dei costi di manodopera bracciantile per mantenere la competitività. Nel frattempo, in un processo di integrazione verticale, le grandi società finanziate da fondi di investimento spingono un numero crescente di agricoltori a rifornirsi presso di loro di tutto il necessario, dalle sementi ai pesticidi, fino alle consulenze.

Il caporalato in Grecia

In Grecia, il 90% della manodopera del settore agricolo è composto da migranti, la maggior parte dei quali lavora in modo informale, viene pagata in nero e non è assicurata.

Il SEPE, l’Unità greca di ispezione del lavoro che lavora sotto vigilanza del Ministero del Lavoro, legalmente ha il mandato di controllare l’intero settore privato, ma ella pratica non riesce a controllare molto nella produzione agricola perché non ha gli strumenti adeguati. Tutto dipende dalle dichiarazioni di impiego dei lavoratori, spesso opache: i lavoratori appaiono nel database solo quando i datori di lavoro acquistano un voucher (Ergosimo) assicurativo a loro nome. La legge 4635/2019 prevede che ogni voucher sia dichiarato nel corrispondente sistema telematico (Ergani) del Ministero del Lavoro. Questo però non è ancora stato attivato.

La debolezza dei controlli permette al sistema agricolo greco di sopravvivere, in una filiera composta da una pluralità di piccole e medie imprese (il 98% del totale) che operano su una superficie media di 6,8 ettari, esposte alle pressioni di pochi e forti soggetti.

Il problema è che le pressioni della filiera sugli agricoltori generano sforzi volti alla riduzione dei costi di produzione. E nel ridurre dei costi di produzione, il lavoro finisce con l’essere sempre il bersaglio primario.

Il rapporto, che sarà presentato oggi 24 febbraio, alle ore 18:30, in diretta sulla pagina Facebook di Terra!. QUI trovate l’edizione completa.

Fonte: Associazione Terra!

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