La Sardegna vuole fermare le coltivazioni di canapa industriale?

La Procura di Cagliari ha emanato una direttiva che pone un grosso freno alle coltivazioni di canapa industriale in Sardegna.

Ci sarebbe la “possibilità di sequestri preventivi delle coltivazioni”, sulla base del “sospetto” di attività non conformi e per questo la Procura di Cagliari ha emanato una direttiva che pone un grosso freno alle coltivazioni di canapa.

Succede in Sardegna, dove solo nello scorso mese di gennaio alcuni membri della Giunta regionale avevano avanzato due proposte di legge (qui e qui) proprio sulla coltivazione della canapa sativa per rendere le produzioni agricole più competitive, sostenibili e multifunzionali. 

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La Sardegna per via di un clima favorevole e grazie a una nuova generazione di imprenditori attenti alla diversificazione, è una delle regioni più interessate a questa coltivazione” , si disse all’epoca, al momento della presentazione delle proposte, che tra l’altro prevedevano contributi alle imprese per rilanciare la filiera, promuovendo il ruolo strategico della canapa nella bonifica dei terreni e nella bonifica dei siti, nella bioedilizia e nella bioenergia.

Ora però la Procura cagliaritana ribalta qualsiasi possibilità di sviluppo della canapicoltura sull’isola e riconosce la possibilità di sequestri preventivi delle coltivazioni, sulla semplice base del “sospetto” di attività non conformi alla legge sulla canapa industriale (242/2016) e che, pertanto, potrebbero profilare il reato di produzione o detenzione di stupefacenti.

Non ci sta Federcanapa che ritiene inaccettabile la direttiva della Procura Distrettuale di Cagliari, che piuttosto – dicono – si basa su due assunti in contrasto con la normativa nazionale e comunitaria:

  1. Il documento sostiene che la cessione o vendita di prodotti contenenti “foglie, infiorescenze, olio e resine” risulterebbe tout court un’attività illecita, in quanto prodotti non contemplati dalla legge sulla canapa industriale poiché non espressamente menzionati nella medesima.
    In realtà – si legge nella nota della associazione – la legge 242 elenca tra le destinazioni ammesse, come riconosciuto nella stessa Direttiva, la produzione di ‘alimenti’, ‘cosmetici’, ‘semilavorati’ e addirittura di ‘coltivazioni per il florovivaismo’ senza mai specificare quali parti della pianta siano utilizzabili e quali no. Ma soprattutto, analizzando le normative di settore a cui la stessa legge rinvia risulta evidente la possibilità di produrre estratti in ambito alimentare o come semilavorati, foglie per i cosmetici e fiori recisi per florovivaismo.
  1. Ancora più evidente il contrasto con la normativa comunitaria secondo cui le finalità della Convenzione Unica sugli Stupefacenti (cui l’Italia ha aderito) è quella di evitare l’assunzione da parte dell’uomo di sostanze dannose. Ma come chiarito da più sentenze della Corte di Giustizia Europea (dal 2003 fino al 19 novembre scorso, che ha imposto allo Stato Francese il dissequestro di una partita di sigarette elettroniche al Cbd) non può valere per la pianta di canapa industriale proveniente da varietà certificate che, per la normativa comunitaria, è un prodotto agricolo e non una droga e come tale utilizzabile nella sua interezza per le finalità agro-industriali di legge. Sarebbe opportuno definire con chiarezza il concetto di “fiori, foglie, olio e resine” elencati nell’allegato al T.U. Stupefacenti, circoscrivendolo ai prodotti non riconducibili a varietà certificate nel catalogo europeo e che abbiano notoriamente efficacia psicotropa. Basti pensare che i fiori della cannabis “stupefacente” hanno valori di THC generalmente 100 volte superiori a quelli ammessi dalla legge per la canapa industriale.
    Grave inoltre – concludono – il suggerimento avanzato dalla Procura di Cagliari del sequestro preventivo. I controlli da parte degli inquirenti, in presenza della documentazione attestante la provenienza certificata delle coltivazione e la destinazione delle stesse alle finalità di legge (contratti, fatture ecc.), vanno effettuati nel rispetto degli elementari principi di legalità tipici dello Stato diritto e non, come suggerito nella Direttiva, mossi da una semplice presunzione di colpevolezza. Del resto ancora più strana ed anacronistica risulta la presa di posizione della Procura Distrettuale di Cagliari in un contesto europeo in cui altri Stati hanno già regolamentato la canapa in tutte le sue parti e ne sono esempio il Belgio, la Croazia, l’Olanda o la Repubblica Ceca, o sono in procinto di farlo, come Francia e Germania.

Fonte: Federcanapa

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