Il disagio degli agricoltori è evidente da settimane tra le strade di mezza Europa, ma in molti casi si trasforma in una dura contestazione alla transizione ecologica, delineando un pericoloso fronte anti-ambientalista. Eppure sono loro le prime vittime del cambiamento climatico...
Continuano le proteste degli agricoltori con, sullo sfondo, i movimenti di estrema destra impegnati a sfruttare il malcontento per ottenere voti alle elezioni europee in giugno. Senza giri di parole, è questo il quadro: col passare dei giorni si è delineata un’ombra lunga su ogni sfaccettatura delle manifestazioni in piazza dei trattori, quella di una opposizione netta a qualsiasi forma di ambientalismo pena, dicono gli agricoltori, “la nostra sussistenza”.
Paradossale, se si considera che fino a poche settimane fa sembrava che molti attivisti per il clima si unissero alla protesta, ora il divario è in alcuni casi sempre più netto. Più in generale, oltre a sentirsi perseguitati da quella che vedono come la “burocrazia” di Bruxelles che conoscerebbe poco dei loro affari, molti agricoltori si lamentano di sentirsi intrappolati tra richieste di cibo a basso costo e processi rispettosi delle politiche per il clima.
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Eppure il tempo ce lo ha, ahinoi, insegnato: gli eventi meteorologici estremi dovuti al cambiamento climatico stanno colpendo sempre più la produzione. Alcuni bacini idrici nel sud della Spagna, per dirne una, si attestano solo al 4% della capacità, mentre gli incendi hanno spazzato via circa il 20% del reddito agricolo annuale greco lo scorso anno.
La politica agricola comune (la PAC), il sistema di sovvenzioni da 55 miliardi di euro all’anno su cui si basa la sicurezza alimentare dell’Europa da oltre 60 anni, si è storicamente basata sull’economia di scala: aziende più grandi e standard comuni. Ciò ha lasciato molte aziende agricole più grandi (il numero di aziende agricole nell’Ue è diminuito di oltre un terzo dal 2005) con alti livelli di indebitamento in un’attività a basso margine e quelle più piccole sempre meno competitive.
Più di recente, il settore agricolo, che rappresenta l’11% delle emissioni di gas serra dell’Unione europea, è sempre più allarmato dalle norme della strategia “Farm to Fork“, parte del Green Deal europeo volto alla neutralità climatica entro il 2050.
Gli obiettivi includono il dimezzamento dei pesticidi entro il 2030, la riduzione del 20% dell’uso di fertilizzanti, più terreni a usi non agricoli – ad esempio, lasciandoli incolti o piantando alberi non produttivi – e il raddoppio della produzione biologica al 25% di tutti i terreni agricoli dell’Ue. Ma molti agricoltori si lamentano, per esempio, del fatto che le norme comunitarie vigenti in settori quali l’irrigazione e il benessere degli animali siano interpretate in modo troppo restrittivo, sostenendo che le politiche verdi in arrivo sono ingiuste, irrealistiche, economicamente non sostenibili e che alla fine saranno controproducenti.
Ed eccola, allora, la ragione per cui, in mezza Europa, siano stati i partiti nazionalisti e anti-Ue a firmare molte delle manifestazioni dei trattori, mirando a capovolgere le politiche green della Commissione e l’attivismo per il clima.
Ma come è possibile? Se gli agricoltori sono la categoria produttiva più colpita dai cambiamenti climatici (la siccità del 2022 gli è costata il 10% della produzione), perché hanno deciso che il loro problema è la lotta ai cambiamenti climatici?
In alcuni Paesi, i manifestanti chiedono maggiori azioni sull’adattamento climatico, in particolare in Grecia, dove gli agricoltori chiedono misure per evitare che i terreni agricoli vengano danneggiati da inondazioni e altre condizioni meteorologiche estreme. In altri casi, gli agricoltori vogliono che i sussidi per il carburante continuino e che le restrizioni sui fertilizzanti e sui pesticidi vengano riconsiderate.
Ma qualcosa non torna. Il Green Deal europeo, proprio con le due strategie, la “Farm to Fork” appunto e “Biodiversità 2030”, adotta un approccio sistemico alle filiere agroalimentari, tenendo conto di tutti gli elementi, ambientali, economici e sociali, dei loro rapporti e dei relativi effetti sulla vita delle persone e sull’economia degli Stati. Ma queste due strategie sono ad oggi ancora solo una enunciazione di principi senza una concreta applicazione ai sistemi agricoli, non essendo stati approvati i vari strumenti attuativi, come nel caso del Regolamento per l’uso sostenibile dei pesticidi.
Attribuire, quindi, al Green Deal la responsabilità dei problemi degli agricoltori è una assurdità – dicono dal WWF. Una narrativa fuorviante, alimentata dai soggetti che hanno visto un rischio per i loro profitti negli obiettivi di riduzione dell’uso di pesticidi, fertilizzanti chimici e antibiotici.
Cosa c’è alla radice di tutto ciò quindi? A giugno i cittadini dell’Ue eleggeranno i nuovi membri del Parlamento europeo e recenti sondaggi hanno suggerito che potrebbe esserci una “brusca svolta a destra” nei risultati. E i partiti di destra in diversi paesi europei – come Francia, Italia, Paesi Bassi e Germania – stanno sfruttando proprio l’indignazione degli agricoltori.
L’attenzione dell’estrema destra per le elezioni europee rimarrà per lo più su temi come l’immigrazione, l’economia, il futuro dell’Unione europea e, udite udite, il blocco del Green Deal. Et voilà.
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