Fibre di plastica sono state trovate nell’acqua di rubinetto di tutto il mondo. Ecco la ricerca.
Viviamo su un pianeta di plastica: fibre di plastica sono state trovate nell’acqua di rubinetto di tutto il mondo. Alcuni test dimostrano che miliardi di persone a livello mondiale bevono acqua potabile contaminata da particelle di plastica. Anche se mancano ancora studi certi, è chiaro che possano attrarre effetti patogeni. Che cosa significa, infatti, per la nostra salute?
Come dimostra uno studio globale condotto da Orb Media, un’organizzazione no-profit specializzata in giornalismo d’inchiesta, l’83% dei campioni di “acqua potabile” risulta contaminato da platica.
D’altronde, con la quantità di plastica che siamo stati capaci di creare negli ultimi 60 anni (dal 1950 sono stati prodotti oltre 8.3 miliardi di tonnellate di plastica) e quella che abbiamo scaricato nell’ambiente marino, cosa potevamo aspettarci di diverso? Se nel 1950 la produzione mondiale di plastica era di 2 milioni di tonnellate e nel 2015 di 400 milioni, ci troveremo plastica ovunque, non ci sono speranze.
Secondo la nuova analisi, il tasso di contaminazione più elevato lo hanno gli Stati Uniti, con il 94% di fibre di plastica trovate in acqua di rubinetto campionata in siti come il Congresso, la sede dell’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e la Trump Tower a New York. Seguono poi Libano e India.
Quanto all’Europa, nazioni tra cui il Regno Unito, la Germania e la Francia hanno avuto il tasso di contaminazione più basso, ma comunque attestabile al 72%. E per ogni 500 ml, una bottiglietta da mezzo litro, mettiamo in corpo mediamente 1,9 fibre di plastica, mentre negli USA sono 4,8.
Anche un piccolo studio distinto nella Repubblica d’Irlanda rilasciato nel mese di giugno aveva trovato una contaminazione di microplastica. “Non sappiamo quale sia l’impatto sulla salute, per questo dovremmo occuparcene immediatamente e capire quali siano i rischi reali, mentre seguiamo un principio cautelativo”, spiega Anne Marie Mahon del Galway-Mayo Institute of Technology, tra gli autori dell’indagine.
E due sono i motivi principali di preoccupazione: le dimensioni delle particelle, innanzitutto. Orb nelle sue analisi ha identificato solo quelle più grandi di 2,5 micron, 2500 volte più grandi di un nanometro, ma quelle di più piccole dimensioni sono abbastanza microscopiche da penetrare in cellule e tessuti. E una volta penetrate in modo efficace in una cellula, possono penetrare anche negli organi e “ciò sarebbe preoccupante”. In più, la microplastica può attirare i batteri presenti nelle acque reflue e, come ha dichiarato Mahon, “alcuni studi hanno dimostrato che esistono più patogeni nocivi sulle microplastiche a valle degli impianti di trattamento delle acque reflue”.
Un’invasione, quella della plastica, che oramai riguarda di fatto tutto il ciclo dell’acqua, ovviamente compresa la produzione di cibo: per esempio, in uno studio in Germania sono stati trovati fibre e frammenti in tutte le 24 marche di birra testate, nonché nel miele e nello zucchero e nell’acqua imbottigliata, che dunque non possiamo vedere come valida alternativa. A Parigi, nel 2015, i ricercatori hanno scoperto che cadono microplastiche dall’aria e si stimano ogni anno intorno alle tre tonnellate di fibre della città, presenti anche tra le mura domestiche. Bastano allora i comuni sistemi di trattamento filtrante dell’acqua? Certo che no, dicono gli esperti, se si considera che “non esiste un sistema che filtri al 100%. In termini di fibre, il diametro è di 10 micron e sarebbe molto insolito trovare quel livello di filtrazione nei nostri sistemi di acqua potabile”.
Come sono finite le microplastiche nell’acqua potabile?
Una domanda quasi ridicola, se si considera il pattume cui abbiamo ridotto questa Terra. Ma gli studiosi vogliono comunque andare fino a fondo: una fonte è sicuramente l’atmosfera, con le fibre sintetiche di abiti, tappeti e scarpe che vengono liberate nell’aria che respiriamo (l’80% delle asciugatrici negli USA “sfiata” direttamente sul balcone).
Ci sono poi gli scarichi delle lavatrici, si pensi che ogni ciclo di lavaggio rilascia nell’ambiente 700mila fibre, e l’erosione della pioggia, ma Mahon ha affermato che occorrono ulteriori lavori per replicare i risultati, trovare le fonti di contaminazione e valutare i possibili impatti sulla salute.
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Stiamo sempre più soffocando gli ecosistemi di plastica, insomma, e quello che ci aspetta se non invertiamo la rotta non è per niente roseo.
Germana Carillo