L'Istituto Superiore di Sanità nel 2019 ha raccomandato restrizioni più severe per i Pfas nell'acqua potabile, l'Italia ha però ignorato tali avvertimenti, preferendo seguire le direttive europee più permissive
Negli ultimi anni, si è parlato sempre più spesso di Pfas, un gruppo di sostanze chimiche conosciute negli Usa come “forever chemicals” (inquinanti eterni) a causa della loro persistenza nell’ambiente.
Utilizzati in numerosi prodotti industriali e di consumo come rivestimenti antiaderenti, tessuti impermeabili e schiume antincendio, i Pfas possono contaminare il suolo, l’aria e purtroppo anche l’acqua potabile con una serie di rischi per la nostra salute (documentati già da diversi studi).
Proprio riguardo alla loro presenza nell’acqua potabile, è emerso ora un fatto molto importante (e grave) che fa riflettere su quanto, nel corso degli anni, sia stata sottovalutata la pericolosità di queste sostanze.
Ben prima che l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro dichiarasse il Pfoa cancerogeno e il Pfos possibile cancerogeno, l’Istituto Superiore di Sanità (Iss), nella revisione della Direttiva sulla qualità delle acque destinate al consumo umano, aveva già individuato la necessità di adottare valori più cautelativi rispetto a queste sostanze.
In un documento inedito del 2019, ottenuto da Greenpeace e i cui dati sono stati pubblicati in esclusiva da Il Fatto Quotidiano, l’Iss raccomandava per il Pfoa un limite di 30 nanogrammi per litro e per il Pfos un limite di 65 nanogrammi per litro, valori significativamente più bassi rispetto a quelli fissati dalla Direttiva Europea 2184, che impone un limite di 100 nanogrammi per litro per 24 Pfas particolarmente pericolosi e di 500 nanogrammi per litro per tutti gli altri Pfas (che sono più di 10mila!).
Nel rapporto, inviato alla Direzione Generale della Prevenzione del Ministero della Sanità, l’Iss sottolineava che Pfos e Pfoa:
Non dovrebbero essere presenti nelle acque destinate al consumo umano (che) devono rimanere salubri e pulite.
L’attuale governo, però, con il Decreto 18 del 23 febbraio 2023, ha scelto di non seguire tali indicazioni, limitandosi unicamente a recepire la direttiva dell’Unione Europea sui limiti dei Pfas nelle acque potabili.
Nonostante le importanti indicazioni del proprio Istituto di Sanità, quindi, l’Italia ha fatto “orecchie da mercante”, scegliendo di recepire i limiti europei, meno rigidi, che entreranno in vigore solo nel 2026.
Nel frattempo, in diverse località italiane, l’acqua potabile presenta valori di Pfoa e Pfos considerati non sicuri dall’Iss. A marzo 2023, ad esempio, a Chiomonte, Gravere e San Colombano Belmonte, in provincia di Torino, sono stati rilevati valori di Pfoa di 82,96 e 74 nanogrammi per litro, ben al di sopra dei limiti suggeriti dall’Iss.
Il documento dell’Iss conferma ancora una volta che c’è un evidente scollamento tra le indicazioni della scienza e le decisioni della politica in tema di Pfas – ha commentato Giuseppe Ungherese di Greenpeace Italia
Al contrario dell’Italia, però, ci sono altri paesi europei (e non) che hanno adottato misure decisamente più severe. L’Olanda, ad esempio, ha stabilito un limite di 4,4 nanogrammi per litro per il Pfoa equivalente, mentre Svezia e Fiandre (regione del Belgio) hanno imposto un limite di 4 nanogrammi per litro.
La Germania applicherà dal 2028 un limite di 20 nanogrammi per litro, e la Spagna ha stabilito un limite di 70 nanogrammi per litro fino al 2026. Negli USA, infine, l’Agenzia per la Protezione Ambientale ha recentemente fissato limiti di tolleranza molto bassi per i Pfas, praticamente allo zero tecnico.
Ci auguriamo vivamente che l’Italia ci ripensi e adotti al più presto misure adeguate, seguendo l’esempio di altre nazioni che si sono spinte più avanti nella lotta contro l’inquinamento da Pfas.
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Fonte: Il Fatto Quotidiano
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