“Nessun Paese è immune dalla siccità”: allora perché non trasformiamo l’acqua del mare in acqua potabile?

Oggi è la Giornata mondiale per combattere desertificazione e siccità e si snocciolano dati allarmanti per il mondo, Italia compresa, complici in primis il consumo del suolo e le pratiche agricole intensive. Su molti fronti si parla di dissalatori come soluzione che potrebbe risolvere l’emergenza siccità. Ma lo è davvero? O si aggiungerebbe un problema al problema?

Più di 10milioni di persone in Italia sono esposte a un grave degrado del territorio, che porterà a maggiore siccità e desertificazione: sono i dati dell’UNCCD, la Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione, secondo cui ogni secondo nel mondo l’equivalente di quattro campi di calcio di terreno sano viene deteriorato, per un totale di 100 milioni di ettari ogni anno.

È questo il quadro che ci arriva in occasione della Giornata della desertificazione e della siccità che si celebra ogni anno il 17 giugno e che nel 2024 ha come tema “Uniti per la terra: la nostra eredità. Il nostro futuro” per una gestione sostenibile del territorio.

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Nello specifico, In Italia ormai è sempre più emergenza siccità: secondo Legambiente, dal 2020 a metà maggio 2024 nella Penisola si sono registrati 81 danni da siccità prolungata.

Quest’anno è stato segnato da troppi avvenimenti che ci ricordano l’urgente necessità di agire – afferma Alain Richard Donwahi, presidente della 15a sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione (la COP15, che si è tenuta nel maggio 2022 in Costa d’Avorio ). La COP16, in programma il prossimo dicembre in Arabia Saudita, deve essere l’occasione per organizzarci per lottare insieme contro la desertificazione e le sue conseguenze. Il degrado del terreno nelle aree aride, semi-aride e sub-umide secche derivante da vari fattori, tra cui le variazioni climatiche e le attività umane e la siccità sono in aumento e colpiscono quasi tutte le aree geografiche. Nessuno rimane immune.

Sono 168 i Paesi colpiti da desertificazione o siccità – elenca il presidente di COP15 – Dal 20 al 40% del volume totale di terreni si è degradato con il 40% della popolazione mondiale che vive in terre degradate. La siccità è il 2° disastro naturale che colpisce il maggior numero di persone (dopo le inondazioni) e un terzo della popolazione mondiale è già alle prese con lo stress idrico. Tra il 1900 e il 2019, 11,7 milioni di decessi sono stati causati dalla siccità e il 10% del Pil attuale nel mondo viene perso ogni anno a causa della desertificazione.

Servono quindi interventi rapidi, concreti e integrati non più rimandabili. Ma quali? In molti avanzano l’ipotesi di investire in depuratori e dissalatori, ma di che si tratta nello specifico?

La dissalazione una possibile soluzione? Cos’è e dove sono gli impianti

È tecnica che consiste nella rimozione della frazione salina dalle acque di mare o da acque di falda “salmastre”, tremite quattro principali tecnologie:

  • osmosi inversa: che rimuove il sale dall’acqua attraverso il principio dell’osmosi sviluppato lungo una serie di membrane semipermeabili che catturano gli elementi. Questa per ora è una delle tecnologie meno energivore perché non utilizza sorgenti di calore
  • elettrodialisi: gli impianti sfruttano in questo caso le membrane ionizzate che rimuovono il sale dall’acqua trattata
  • nanofiltrazione: tecnologia sempre a membrana che viene generalmente impiegata nel trattamento di acque a basso contenuto salino
  • dissalazione termica: gli impianti ricorrono al calore per far evaporare e condensare l’acqua di mare per renderla utilizzabile

Gli impianti esistenti ad oggi in Italia sono di piccole o medie dimensioni e sono in Puglia e soprattutto nelle isole minori, come Lampedusa o Ventotene.

Ad oggi si contano nel mondo circa 16mila impianti in 177 Paesi. In Europa, la Spagna si trova al primo posto nella desalinizzazione (9,2% del fabbisogno), usa una parte significativa di questa acqua per i servizi richiesti dall’industria del turismo.

Secondo uno studio ONU del 2018, la capacità di produzione di acqua più o meno dolce degli impianti di desalinizzazione è pari a circa 95milioni di metri cubi al giorno, mentre – dati Fao – sono 628mila i litri d’acqua l’anno per ogni singola persona sulla Terra necessari per produrre cibo (circa 70%), per ogni tipo di produzione industriale o manufatturiera (circa 20%), per tutte le attività domestiche e cittadine (circa 10%).

Potrebbero quindi essere utili i dissalatori, ma in molti si chiedono quanto sono sicuri. Lo stesso studio commissionato dall’Onu evidenzia come per ogni litro di acqua desalinizzata si registri un residuo di 1,5 litri di salamoia, a concentrazione variabile, in funzione della salinità dell’acqua di partenza. Ciò vuol dire che, a livello globale, a fronte dei 95 milioni di metri cubi di acqua dolce, gli impianti di desalinazione producono anche 142 milioni di metri cubi di salamoia ipersalina al giorno. E, in un anno, la salamoia prodotta sarebbe sufficiente a coprire mezza Italia sotto 30 centimetri di melma caustica

Troppo? Secondo uno studio di istituti universitari di Canada, Olanda e Korea, la salamoia mondiale è prodotta in soli quattro Paesi: Arabia Saudita (22%), Emirati Arabi Uniti (20,2%), Kwait (6,6%) e Qatar (5,8%).

Gli impianti del Medio Oriente che utilizzano le tecnologie di dissalazione termica/evaporativa producono in media da due a quattro volte più salamoia per metro cubo di acqua pulita rispetto agli impianti che ricorrono al metodo della distillazione a membrana per la desalinizzazione di acqua di fiume (che si trovano per lo più negli Stati Uniti). Dai dati, insomma, gli studiosi arrivano alla conclusione che la melma ipersalina ricca di anti-incrostanti, metalli e cloruri vari, andrebbe considerata esattamente come le altre scorie industriali pericolose e come tale avrebbe bisogno di processi di smaltimento adeguati.

Cosa comporta? Che il corretto smaltimento per ora è costoso e può arrivare fino al 33% dei costi operativi di un impianto. Per questo, la maggior parte della salamoia finisce direttamente negli oceani, nelle acque superficiali, negli impianti di smaltimento delle acque reflue attraverso le fognature o, più raramente, in pozzi profondi.

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