Non sempre l'acqua del rubinetto in Italia è sicura: borio, fluoruri e soprattutto arsenico, in concentrazioni superiori ai valori stabiliti dalla legge, rischiano di danneggiare seriamente la salute dei cittadini. Ed è colpa delle inadempienze, delle omissioni, dei ritardi sugli acquedotti, ma soprattutto delle deroghe.
Non sempre l’acqua del rubinetto in Italia è sicura: borio, fluoruri e soprattutto arsenico, in concentrazioni superiori ai valori stabiliti dalla legge, rischiano di danneggiare seriamente la salute dei cittadini. Ed è colpa delle inadempienze, delle omissioni, dei ritardi sugli acquedotti, ma soprattutto delle deroghe.
Questa la denuncia del dossier “Acque in deroga“, realizzato da Legambiente e Cittadinanzattiva, che ricostruisce proprio la questione delle deroghe richieste e concesse ai Comuni italiani dal 2003 ad oggi, facendo il punto sui territori coinvolti e sugli interventi attuati o in programma. Ad un anno dal referendum che ha decretato l’acqua bene comune, rimangono ancora molti i nodi da sciogliere. Scopriamo, così, che nel 2012 sono circa un milione i cittadini di 112 Comuni italiani (90 nel Lazio, 21 in Toscana e 1 in Campania) che non hanno acqua potabile di qualità e conforme alla legge, perché sono ancora in vigore nuove deroghe che consentono di prendere tempo e ripristinare i valori al di sotto dei limiti stabiliti dalla legge.
“Il problema – spiega Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente – è che in Italia lo strumento della deroga, entrato in vigore nel 2001 e inizialmente previsto solo come misura transitoria per dare tempo alle autorità competenti di realizzare i giusti interventi necessari, è stato in realtà adottato con leggerezza, trasformandosi in un espediente per prendere tempo ed alzare i limiti di legge rispetto ad alcune sostanze fuori parametro“.
Il dossier si apre con l’analisi delle deroghe chieste dal 2003 al 2010. Ogni deroga ha una durata di tre anni con possibilità di essere rinnovata al massimo per altre due volte: le prime due vengono decise dal Ministero della Salute mentre la terza deve avere il via libera della Commissione europea. In Italia il “pasticcio delle deroghe” è iniziato nel 2003, primo anno in cui ne viene fatta richiesta. Da allora fino al 2009 sono state 13 le regioni che ne hanno fatto richiesta (Campania, Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Trentino Alto Adige, Umbria, Veneto) e su un totale di 13 parametri (arsenico, boro, cloriti, cloruri, fluoro, magnesio, nichel, nitrati, selenio, solfato, trialometani, tricloroetilene, vanadio).
Dopo sei anni, alcune regioni (Campania, Lazio, Lombardia, Toscana, Trentino Alto Adige e Umbria), non avendo ancora ripristinato i valori della qualità della dell’acqua al di sotto dei limiti consentiti, hanno chiesto una terza deroga per arsenico, boro e fluoruri. Nel 2010 la Commissione Europea ne ha concesse alcune, respingendone altre. Una parte dei provvedimenti è scaduta a dicembre 2011, e Lombardia, Umbria e Campania, insieme alle Provincie autonome di Bolzano e Trento hanno completato gli interventi e riportato la qualità dell’acqua al di sotto dei limiti di legge.
Nel frattempo, però, sono scadute anche le deroghe in Sicilia per il vanadio nei Comuni etnei, in Toscana per i trialometani (in 3 comuni) e nel Lazio per vanadio e trialometani (14 e 2 comuni rispettivamente). Ad oggi, quindi, rimangono in vigore deroghe nel Lazio (arsenico, fluoruri), Toscana (arsenico e boro) e in un comune della Campania per il fluoruro. “Per assicurare la tutela della salute dei cittadini, ai sindaci interessati chiediamo un’operazione di trasparenza per quanto riguarda i dati di qualità dell’acqua, e di garantire una costante informazione alla cittadinanza“, ha concluso Antonio Gaudioso, neo segretario generale di Cittadinanzattiva.
Roberta Ragni
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