L'acidificazione degli oceani non è conseguenza solo delle nostre emissioni inquinanti, ma anche della plastica dispersa nelle acque di tutto il mondo - come dimostra questo nuovo studio spagnolo
La plastica dispersa negli oceani non provoca soltanto la morte di tartarughe, pesci e altri animali marini (che soffocano in sacchetti della spesa o restano impigliati nelle reti dei pescatori), ma contribuisce anche all’acidificazione dell’acqua.
È quanto dimostra un nuovo studio condotto dall’Instituto de Ciencias del Mar (ICM) di Barcellona. In pratica, quando la plastica dispersa in mare subisce l’effetto dei raggi solari, rilascia in acqua un mix di sostanze fra cui anche acidi organiche ne abbassano il pH, rendendola più acida. Ma non solo: la degradazione della plastica per effetto del sole provoca un maggior rilascio di CO2, che acidifica ulteriormente l’acqua.
Finora, l’unico fattore a cui si attribuiva la responsabilità dell’acidificazione delle acque oceaniche erano le emissioni di gas serra da parte dell’essere umano: sappiamo infatti che gli oceani del mondo assorbono circa il 30% delle emissioni carboniche di origine antropica, che contribuiscono ad abbassare il pH dell’acqua – con conseguenze drammatiche per la vita marina.
Un’acqua troppo “acida” ostacola la capacità degli organismi marini – come coralli, plancton, ostriche e ricci – di costruire scheletri e gusci di carbonato di calcio e di sopravvivere in generale. Ovviamente, l’indebolimento di questi esseri viventi può avere un impatto su altre specie che dipendono da loro per il cibo e l’habitat.
Come succede ad altre condizioni di degrado ambientale, anche il fenomeno dell’acidificazione degli oceani non si verifica in modo uniforme in tutto il mondo. Si registra, in media, un abbassamento di 0,1 unità di pH nelle acque superficiali – potrebbe sembrare poco, ma questo calo in apparenza contenuto ha già provocato grandi cambiamenti nello stato di salute degli oceani.
La situazione è peggiore in prospicienza delle coste, dove i rifiuti plastici provenienti dalle comunità umane che vivono lungo le coste potrebbero contribuire a un calo fino a 0,5 unità di pH. Si tratta dell’acidificazione prevista per il peggior scenario di emissioni inquinanti da parte dell’umanità – una vera e propria catastrofe.
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Lo studio
I ricercatori spagnoli hanno osservato la quantità e la tipologia delle sostanze chimiche rilasciate dalla plastica in campioni di acqua marina conservati in laboratorio ed esposti all’azione di raggi ultravioletti che replicavano quelli solari.
Per fare ciò hanno immerso in bottiglie piene di acqua marina pezzetti di plastica – sia nuovi che vecchi e già parzialmente degradati. Si è osservato, come era prevedibile, che la plastica più vecchia rilascia una maggiore quantità di carbonio organico disciolto, e questo contribuisce ad un maggiore abbassamento del pH dell’acqua di mare.
La scoperta è drammatica se si pensa alla quantità di plastica che attualmente galleggia nelle acque di tutto il mondo, nonché alle tonnellate di nuovi rifiuti che vanno ad aggiungersi ogni anno: si stima che, ogni anno, circa 13 milioni di tonnellate si nuova plastica raggiungano le acque oceaniche – una cifra che potrebbe aumentare sensibilmente nei prossimi 40 anni, in parallelo con il triplicarsi della produzione di plastica nel mondo.
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Fonte: Science of The Total Environment
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