I tre Paesi hanno firmato un piano d'azione con interventi concreti per salvare la foresta pluviale e l'ecosistema connesso
Il vento sta cambiando in Brasile, finalmente, e anche per la foresta amazzonica c’è speranza di salvezza. Il neoeletto presidente Lula ha impresso un’inversione di rotta forte alla politica ambientale del Paese, avviando subito una collaborazione con Indonesia e Repubblica Democratica del Congo per la cooperazione delle foreste pluviali che si trovano entro i loro confini e che costituiscono il 52% delle foreste pluviali mondiali.
L’accordo, annunciato a margine della COP27 di Sharm-el-Sheikh, è stato firmato nei giorni scorsi dai rappresentanti dei tre Governi. Fra i punti programmatici, stabilire un tetto alla deforestazione, tutelare la biodiversità e rigenerare gli ecosistemi minacciati. L’accordo è “senza portafoglio”, ovvero non è sostenuto da alcun piano economico.
Per questo motivo i tre Paesi si dovranno impegnare anche a trovare dei fondi (programmi delle organizzazioni internazionali) o dei finanziatori privati che possano sostenere economicamente l’ambizioso progetto. Come hanno spiegato in una dichiarazione congiunta, per raggiungere questi obiettivi è necessaria la cooperazione degli altri Paesi.
L’impegno più grande è per il Brasile, il cui presidente si trova a dover invertire la rotta delle politiche ambientali disastrose condotte dal suo predecessore, Jair Bolsonaro, che aveva fatto della deforestazione e dello sfruttamento dell’ambiente naturale uno dei suoi cavalli di battaglia.
Il completo disinteressamento dell’ex-presidente alle questioni ambientali è il motivo per cui il Brasile non ha partecipato alle ultime Conferenze delle Parti. Il ritorno del Paese sudamericano, con l’arrivo a Sharm-el-Sheikh del premier Lula de Silva ieri, è stato accolto con giubilo.
Già nel corso della sua campagna elettorale, il presidente Lula aveva dedicato molta attenzione ai temi della tutela dell’ambiente, in particolare alla lotta alla deforestazione (come vi abbiamo spiegato in questo articolo).
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Fonte: New York Times
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