Point of NO Return: i 14 sporchi progetti che uccideranno il clima

Al peggio non c'è mai fine, lo dice Greenpeace. L'associazione ha individuato i 14 progetti che se attuati porterebbero ad una ancor più grave alterazione del clima. Per distruggere definitivamente il pianeta non serve ormai molto. Le conseguenze generate dall'incuria umana ormai sono sotto gli occhi di tutto, causate principalmente dalle attività che generano l'aumento globale delle temperature e con esse i cambiamenti climatici

Al peggio non c’è mai fine, lo dice Greenpeace. L’associazione ha individuato i 14 progetti che se attuati porterebbero ad una ancor più grave alterazione del clima. E senza ritorno. Per distruggere definitivamente il pianeta non serve ormai molto. Le conseguenze generate dall’incuria umana sono sotto gli occhi di tutto, causate principalmente dalle attività che generano l’aumento globale delle temperature e con esse i cambiamenti climatici.

L’associazione ambientalista imputa le colpe maggiori all’ipocrisia dei governi nazionali sui più grandi progetti energetici del pianeta. I governi sarebbero dunque complici dei cambiamenti climatici e dei loro effetti distruttivi. Ma quali sono i principali pericoli? Ad analizzarli è stato il rapporto Point of no return, in cui l’istituto Ecofys per conto di Greenpeace ha illustrato i rischi causati dai 14 maggiori progetti di sfruttamento delle fonti fossili a livello globale.

I 14 più grandi (e più temibili) progetti riguardano il carbone, l’estrazione di gas e di petrolio. La loro attuazione avrebbe come conseguenze il rilascio delle più alte emissioni inquinanti di sempre sulla Terra. Eccoli suddivisi per paese.

Australia: entro il 2025, le esportazioni di carbone potrebbero aumentare fino a 408 milioni di tonnellate all’anno, spingendo su le associate emissioni di CO2 di 1.200 milioni di tonnellate annue.

Cina: le cinque province nordoccidentali della Cina hanno intenzione di aumentare la produzione di carbone di 620 milioni di tonnellate entro il 2015, generando ulteriori 1.400 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, quasi pari alle emissioni della Russia nel 2010.

Gli Stati Uniti: il paese ha in programma di esportare ulteriori 190 milioni di tonnellate di carbone all’anno, principalmente attraverso il Pacifico nord-occidentale. Tale cifra aggiungerebbe altre 420 milioni di tonnellate di CO2 all’anno di emissioni globali entro il 2020, più di tutte quelle di CO2 prodotte in Brasile nel 2010.

Indonesia: qui si prevede una massiccia espansione delle esportazioni di carbone dall’isola di Kalimantan che aggiungerebbero 460 milioni tonnellate di CO2 all’anno entro il 2020, con impatti pesantissimi sulla popolazione locale e sulle foreste tropicali.

Canada: la produzione di petrolio dalle sabbie catramose dell’Alberta potrebbe triplicarsi passando da 1,5 a 4,5 milioni di barili al giorno entro il 2035, con l’aggiunta di 706 milioni di tonnellate di CO2 alle emissioni globali annue.

Largest Dirty Projects 2013

L’Artico: le compagnie petrolifere hanno in programma di sfruttare lo scioglimento dei ghiacci del mare per produrre fino a 8 milioni di barili al giorno di petrolio e gas. Se il piano dovesse avere successo nonostante gli ostacoli tecnici e gli enormi rischi ambientali, la perforazione metterebbe sulla bilancia altre 520 milioni di tonnellate di CO2 all’anno di emissioni entro il 2020 e 1.200 milioni di tonnellate entro il 2030.

Brasile: le aziende intendono estrarre fino a 4 milioni di barili di petrolio al giorno dalle profondità marine, aggiungendo 660 milioni di tonnellate di CO2 annue alle emissioni globali entro il 2035.

Golfo del Messico: i piani per le nuove trivellazioni petrolifere nelle acque profonde porterebbero ad una produzione di 2,1 milioni di barili di petrolio al giorno nel 2016, con l’aggiunta di 350 milioni di tonnellate di emissioni di CO2, equivalenti a quelle prodotte in Francia nel 2010.

Venezuela: dalle sabbie bituminose dell’Orinoco verranno prodotti 2,3 milioni di barili di petrolio al giorno entro il 2035, con l’aggiunta di 190 milioni di tonnellate di CO2 entro il 2020.

Kazakistan: la nuova produzione consegnerebbe 2,5 milioni di barili di petrolio al giorno entro il 2025 e un aumento di emissioni di CO2 pari a 290 milioni di tonnellate entro il 2020.

Turkmenistan, Azerbaigian e Kazakistan: nei tre paesi del Mar Caspio potrebbe partire una nuova produzione pari a 100 miliardi di metri cubi di gas naturale entro il 2020, con il conseguente rilascio di 240 milioni tonnellate di emissioni di CO2

Africa: nel complesso la nuova produzione fornirà 64 miliardi di metri cubi di gas naturale entro il 2015 e 250 miliardi di metri cubi nel 2035, con l’aggiunta di 260 milioni di tonnellate di CO2 entro il 2020.

Iraq: la nuova produzione consisterà in 1,9 milioni di barili di petrolio al giorno entro il 2016 e 4,9 milioni di barili al giorno entro il 2035, con l’aggiunta di 420 milioni di tonnellate di CO2 entro il 2020.

Questi ‘mega progetti di cambiamento climatico’ sono il risultato diretto dell’ipocrisia di alcuni governi. Sostengono di voler prevenire il cambiamento climatico ma continuano vergognosamente a promuovere progetti che porteranno inesorabilmente al caos climatico e a devastazioni su larga scala” ha detto Kumi Naidoo, direttore esecutivo di Greenpeace International.

Anche il WEF ieri nel suo dossier Green Investment Report preparato per il meeting di Davos, avverte che si sta procedendo verso un aumento delle temperature medie del pianeta compreso tra i 3,6 e i 4 gradi centigradi, fino ad arrivare nella peggiore delle ipotesi a un incremento di 6 gradi. Ben oltre il limite di 2 gradi definiti dalla comunità scientifica come soglia da non oltrepassare per scongiurare il caos climatico.

Scarica il rapporto in pdf (inglese)

Francesca Mancuso

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