Sono passati 14 anni da quando il 6 aprile 2019 un rovinoso terremoto colpì L'Aquila e i paesi limitrofi. Un vero e proprio disastro, l'ennesimo in una storia tutta italiana fatta di "rischio simico molto o abbastanza elevato" in moltissime zone e di una prevenzione praticamente pari a zero
Terremoto L’Aquila anno quattordicesimo: era il 6 aprile 2019 quando a colpire L’Aquila e molti altri piccoli paesi abruzzesi alle 3,32 della notte fu un rovinoso terremoto di 6,2 gradi di magnitudo (Mw), pari a 5,8 gradi della scala Richter.
Fu la prima volta che un sisma colpì in pieno un capoluogo di regione e un intero centro storico, senza tra l’altro risparmiare niente e nessuno: negli avvilenti giorni successivi si contarono più di 300 vittime e circa 1600 feriti, mentre gli sfollati ammontano a circa 80mila.
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Terremoti, dalle nostre parti, sempre ce ne sono stati e sempre ce ne saranno: qui nel Belpaese, dall’anno mille fino a oggi si sono verificati 98 terremoti di grado superiore al nono grado della scala Mercalli ogni 8 anni.
Nel ‘900, dal terremoto di Messina-Reggio Calabria del 1908, che con 95mila morti fu la più grave catastrofe naturale in Europa a memoria d’uomo, passando per Avezzano, il Belice e il Friuli, l’Irpinia del 1980 e infine L’Aquila del 2009 e il Centro Italia del 2016, tutti sono connotati da totale devastazione.
Ma abbiamo imparato qualcosa? Nemmeno per niente.
Il rischio sismico in Italia
L’Italia è uno dei Paesi più soggetti a terremoti nel Mediterraneo, a causa della sua particolare posizione geografica nella zona di convergenza tra la zolla africana e quella eurasiatica, e delle forti spinte compressive che provocano l’accavallamento dei blocchi di roccia.
Quanto alle Regioni con un maggiore rischio sismico, esse sono classificate così dall’INGV (Istituto Nazionale di Geologia e Vulcanologia):
- Zona 1 (rischio alto): Friuli-Venezia Giulia, Abruzzo, Umbria, Molise, Campania, Sicilia
- Zona 2 (rischio medio-alto): Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Puglia e Basilicata
- Zona 3 (rischio medio basso): Lombardia, Toscana, Liguria e Piemonte
- Zona 4 (rischio sismicità bassa): Sardegna, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta
Il territorio del Veneto, invece, dal 2021 è suddiviso in tre zone sismiche: la 1, la 2 e la 3.
Sul territorio italiano si registra circa un terremoto ogni 30 minuti, circa 44 terremoti al giorno. Per renderci conto di ciò di cui stiamo parlando basta guardare l’ultimo report dell’INGV relativo al 2022: lo scorso anno sono stati rilevati ben 16.302 eventi sismici in Italia nelle aree limitrofe dalla Rete Sismica Nazionale. Il più potente è avvenuto in Calabria: si è trattato di un sisma di magnitudo 4.3, stato registrato sulla costa ionica in provincia di Catanzaro il 13 ottobre.
Non abbiamo la cultura della prevenzione sismica
Proprio così: la nostra nazione è molto vulnerabile a causa della fragilità del suo patrimonio edilizio e del sistema infrastrutturale.
In Italia circa 40% degli edifici residenziali, localizzati in zona sismica 1 (la più pericolosa), è stato costruito prima degli anni ’80 e quindi non risponde agli attuali requisiti antisismici e ha bisogno di interventi urgenti, come emerge dalla ricerca “Patrimonio edilizio e rischio sismico. Necessità di conoscenza, possibilità d’intervento nell’ERP”. Praticamente tra i 4 e i 5 milioni di edifici rischiano di crollare a causa dei terremoti. A correre i rischi maggiori sono quelli che si trovano nelle aree del Sud, seguite dal Centro.
Ciò che manca nel nostro Stato è la cultura della prevenzione, che potrebbe risparmiarci ingenti danni strutturali e il sacrificio di vite umane. È assurdo e inaccettabile che in Italia non ci sia un Piano efficace di prevenzione sismica.
Secondo il Cosiglio nazionale degli Ingegneri, per quanto riguarda il rischio sismico, la classificazione territoriale per grado di pericolo evidenzia come oltre 21,5 milioni di persone abitino in aree del Paese esposte a rischio simico molto o abbastanza elevato (classificate, rispettivamente, 1 e 2), con una quota pari quasi a 3 milioni nella sola zona 1 di massima esposizione. Ma più della metà di noi vive in abitazioni che non sono state costruite secondo norme antisismiche.
Inoltre, il complesso delle abitazioni residenziali italiani è particolarmente vetusto e, per questa ragione, potenzialmente bisognoso per la messa in sicurezza dal rischio sismico:
- circa 15 milioni di abitazioni (ossia più del 50% del totale) sono state costruite prima del 1974, in assenza di una normativa antisismica
- circa 4 milioni di immobili sono stati edificati prima del 1920 e altri 2,7 milioni prima del 1945
- quanto all’insieme delle abitazioni più vecchie, e rapportandole al numero di abitazioni totali, in alcune Regioni come Molise, Piemonte e Liguria, il quadro si presenta particolarmente critico, con circa un quarto delle abitazioni che presenta oltre 100 anni di vita
All’opposto si può osservare come circa il 5% del totale delle abitazioni sia stata costruita dopo il 2001 e che, per questo necessitano, almeno sulla carta, di minori interventi di messa in sicurezza Tra l’altro, tutte le abitazioni costruite dopo il 2008 dovrebbero rispettare tutte le più recenti normative antisismiche e quindi non abbiano necessità di alcun intervento. Inoltre, osservando gli edifici costruiti sino al 2001, quasi un quarto di questi (circa 6 milioni) versa in mediocre o pessimo stato di conservazione, dicono dal CNI.
In più, oltre un terzo delle abitazioni costruite prima del 1945 è in un pessimo o mediocre stato di conservazione, a cui deve aggiungersi il 30% circa di quelle costruite prima del 1961. Solo il 15,0% delle abitazioni costruite prima del 1919, insieme al 13,0% di quelli anteriori al 1945, e al 15,8% di quelle precedente al 1961, versa in ottimo stato di conservazione.
Sono, infatti, circa 3 milioni gli immobili costruiti prima del 1919 che ad oggi hanno ancora bisogno di interventi di messa in sicurezza e a ciò si deve aggiungere un altro milione e mezzo di abitazioni, costruite a cavallo delle due guerre.
Un lunghissimo interminabile elenco di potenziali crolli. Aspettiamo che ci sia un altro lunghissimo interminabile di nuove vittime?
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Fonti: INGV Terremoti / CNI
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