Il mar Mediterraneo è sempre più a rischio: nell’ultimo quarto di secolo la CO2 è aumentata del 15%, il metano del 9% e la temperatura media di circa 0.5°C, insieme alla frequenza ed intensità delle ondate di calore
Il mar Mediterraneo è sempre più a rischio: nell’ultimo quarto di secolo la CO2 è aumentata del 15%, il metano del 9% e la temperatura media di circa 0.5°C, insieme alla frequenza ed intensità delle ondate di calore. A denunciarlo sono i dati presentati dall’Enea che celebra in questi giorni, i 25 anni dell’osservatorio di Lampedusa, punto di riferimento per lo studio dell’evoluzione del clima e delle sue variabili essenziali.
Non ci sono, quindi, buone notizie. Nello specifico, dalle rilevazioni emerge che nell’ultimo quarto di secolo la CO2 è aumentata da circa 365 a circa 420 parti per milione (+15%), il metano da circa 1825 a 1985 parti per miliardo (+9%), mentre la temperatura media è aumentata di circa 0.5°C, insieme alla frequenza ed intensità delle ondate di calore.
Già lo scorso ottobre vi avevamo parlato di un mar Mediterraneo sempre più malato con temperature delle acque mai così elevate e con immagini satellitari del programma europeo Copernicus che mostrava picchi calore di +5°C rispetto alla media storica di riferimento. E le conseguenze di questo fenomeno non possono che essere devastanti per gli equilibri naturali e per gli abitanti del mare. Adesso arriva l’ennesima conferma.
“Prima della rivoluzione industriale il contenuto atmosferico di CO2, uno dei principali gas effetto serra prodotti dalle attività umane che influiscono sul clima, si attestava intorno alle 280 parti per milione, mentre nel 1992, quando abbiamo iniziato le misure dell’anidride carbonica a Lampedusa, erano circa 350 parti per milione”, evidenzia Alcide di Sarra del Laboratorio ENEA di Osservazioni e misure per l’ambiente e il clima.
“Ad oggi abbiamo registrato 420 parti per milione, con un incremento fortissimo negli ultimi 25 anni pari a circa il 15% e un tasso di crescita annuale che è passato da 1.7 ppm/anno a circa 2.6 ppm/anno. Questo incremento, abbinato all’aumento delle temperature che stiamo registrando, preoccupa anche a causa della possibile riduzione della funzione di assorbimento della CO2 in eccesso, normalmente svolta da oceano e vegetazione”.
Tra i sorvegliati speciali c’è anche il metano, considerando che “ha una capacità di riscaldamento da 30 a 80 volte maggiore rispetto alla CO2”, sottolinea il ricercatore ENEA Damiano Sferlazzo. “Dall’epoca preindustriale al 1997 la concentrazione atmosferica di metano è più che raddoppiata passando da 720 a circa 1825 ppb (parti per miliardo) ed è ulteriormente aumentata dell’8%, negli ultimi 20 anni, con un tasso di crescita che a partire dal 2010 è diventato più rapido raggiungendo +15 ppb/anno nel 2021 ed oggi 1985 ppb”.
In generale, senza scendere troppo nei dettagli, l’osservatorio di Lampedusa ha confermato anche l’aumento della temperatura media del mare che negli ultimi 100 anni ha subito un incremento di oltre 1.5°C, quindi molto di più della media globale, e una maggiore frequenza di fenomeni come le ondate di calore intense e durature, con temperature del mare che nel 2022 hanno raggiunto i 30°C e che mettono a rischio la biodiversità, modificano gli habitat di varie specie e influiscono principalmente su pesca, acquacultura, condizioni atmosferiche ed evaporazione.
“Questi dati mostrano la necessità di intervenire rapidamente per implementare politiche di riduzione delle emissioni di CO2 ma anche degli altri gas ad effetto serra di produzione antropica come il metano, in coerenza con gli obiettivi europei della neutralità climatica entro il 2050”, evidenzia la ricercatrice ENEA Tatiana Di Iorio. “Si tratta di una sfida essenziale per il futuro dell’Europa e del pianeta, e in particolare del Mediterraneo, una delle aree più sensibili ai cambiamenti climatici dove gli impatti sull’ambiente possono essere critici e che oggi più che mai è a rischio”.
Fonte: ENEA
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