Uova da galline allevate all’aperto: ma lo sono davvero? L’etichetta potrebbe “mentire” (con il consenso dell’Ue)

A causa dell'influenza aviaria che ha messo a dura prova il settore e richiesto la reclusione delle galline ovaiole, l'Ue ha consentito ai produttori di mantenere l'etichetta che dichiarava che le loro uova erano prodotte da allevamenti all'aperto. Ora la cosa potrebbe diventare più stabile, con un'ulteriore presa di posizione dell'Ue a favore dei produttori

Di fronte allo scaffale delle uova molti consumatori optano per quelle da allevamento all’aperto, sperando di fare la scelta migliore in quanto a “benessere animale”, considerando come vivono le galline ovaiole negli allevamenti in gabbia. Ma, ultimamente, questa dicitura in etichetta potrebbe non essere sempre attendibile.

Come mai? In seguito ad un anno molto duro per il settore, che ha dovuto combattere con un’ampia diffusione di influenza aviaria (che ha portato all’uccisione di migliaia di volatili negli allevamenti), l’Europa ha concesso una serie di deroghe. Tra queste proprio la possibilità di continuare ad utilizzare la dicitura “ruspanti” o “allevate a terra” in etichetta anche se, momentaneamente, quell’azienda non poteva più garantire la libertà alle galline.

In pratica l’Ue consente alle aziende che per “motivi sanitari” sono state costrette a mettere le galline al chiuso e in gabbia, a continuare ad utilizzare l’etichettatura precedente per le successive 16 settimane. I problemi che scaturiscono sono due: il primo è che queste deroghe continuano ad essere protratte, il secondo – ancora più grave dal nostro punto di vista – è che il consumatore non ne sa nulla ed è convinto effettivamente di acquistare uova da galline allevate all’aperto.

Al momento, finite le settimane di proroga, se il produttore mantiene le galline in gabbia deve cambiare etichetta, segnalando appunto che le uova sono prodotte in questo modo. Ma la cosa potrebbe presto cambiare.

La Commissione europea ha infatti presentato un piano per eliminare il limite temporale alla commercializzazione di queste uova, considerando che i focolai di influenza aviaria stanno diventando sempre più frequenti e duraturi nel tempo e che ciò potrebbe imporre obblighi di reclusione dei volatili più lunghi.

L’etichetta, quindi, rischia di rimanere la stessa e in cambio l’Ue chiederebbe ai produttori solo una riduzione della densità dell’allevamento.

Di queste etichettature “menzoniere” (con il consenso dell’Ue e dunque del tutto legali) abbiamo già parlato quando in Francia la rivista dei 60 Millions de Consommateurs aveva segnalato la problematica.

Ora però della questione si sta parlando un po’ in tutta Europa e anche nel Regno Unito dove i produttori chiedono sostanzialmente la stessa possibilità, per non subire la concorrenza “sleale” da parte dell’Ue.

Come non farci ingannare? La soluzione è abbastanza semplice: cerchiamo un piccolo produttore locale, così possiamo accertarci di dove (e come) vengono allevate le galline.

Tra l’altro cosa si nasconde dietro alcuni allevamenti di galline l’ha svelato una nuova inchiesta realizzata dalla coalizione End The Cage Age negli stabilimenti di galline ovaiole del Nord Italia.

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Fonte:  The Guardian

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