Oggi, il costo della mancata transizione ecologica italiana ha il volto delle bambine e dei bambini di Taranto. Sosteniamo la docu-inchiesta 'Taranto chiama' Lo scorso gennaio l'Onu nel rapporto del Relatore speciale sulla questione del diritto umano al godimento di un ambiente sicuro, pulito, sano e sostenibile, ha definito la città pugliese “zona di sacrificio”, una delle più inquinate della Terra.
Da anni a Taranto mamme e padri, attiviste e attivisti, medici e scienziati denunciano il prezzo dell’inquinamento che stanno pagando sulle loro spalle. Sono storie di intere famiglie distrutte da tumori e leucemia, sono le storie delle bambine e dei bambini che faticano a respirare per colpa delle polveri metalliche.
Di questo e delle conseguenze della mancata transizione ecologica in Italia parla il nuovo progetto di docu-inchiesta e la campagna di crowdfunding “Taranto chiama” su Produzioni dal Basso di Rosy Battaglia, giornalista d’inchiesta e documentarista, ideatrice di Cittadini Reattivi, progetto di civic journalism su salute, ambiente e legalità.
Presentato oggi a Roma, il progetto di cui greenMe è media partner, sarà un viaggio su e giù per l’Italia con partenza da Trieste dove nel 2020 è stata chiusa la Ferriera fino a Taranto, dove l’ILVA è ancora attiva.
Un viaggio che durerà tre mesi, fino a dicembre 2022 e che ha bisogno del sostegno di tutti per vedere la luce. Attualmente, infatti, è stato realizzato solo il trailer ufficiale, adesso è stata lanciata la campagna di crowdfunding su Produzioni dal basso per poter dare voce a chi sta pagando il prezzo dell’Ilva.
Lo scorso 5 maggio, la Corte Europea per i Diritti Umani ha condannato lo Stato Italiano per ben quattro volte, dopo la sentenza del 24 gennaio 2019, in quanto “continua ancora oggi a non tutelare la salute dei cittadini dagli effetti delle emissioni nocive del siderurgico e non procede alle bonifiche di tutta la zona coinvolta dall’inquinamento”.
Secondo il Rapporto della Commissione ONU sui diritti umani poi: “Taranto è una zona di sacrificio. Una macchia indelebile sulla coscienza dell’umanità. Spesso create dalla collusione di governi e imprese, le zone di sacrificio sono l’opposto dello sviluppo sostenibile, danneggiando gli interessi di generazioni presenti e future. Le persone che abitano nella zone di sacrificio sono trattate come usa e getta, le loro voci ignorate, la loro presenza esclusa dai processi decisionali e la loro dignità e diritti umani calpestati. L’Acciaieria Ilva di Taranto in Italia, da decenni compromette la salute delle persone e viola i diritti umani scaricando enormi volumi di inquinamento atmosferico tossico”.
“Taranto chiama”, come si legge nella campagna, sarà un documentario-inchiesta puntuale, all’insegna dell’informazione indipendente, basato su fatti, dati e testimonianze di coloro che agiscono il cambiamento, raccolti in anni di inchieste sul campo. Per dare voce anche agli oltre 5 milioni di persone che, solo in Italia, vivono nelle zone più inquinate e pericolose per la salute umana e gli ecosistemi, i cosiddetti siti di interesse nazionale (SIN), la cui bonifica spetta sempre allo Stato italiano.
La richiesta fondi di 25 mila euro su un budget complessivo di 46mila euro, andrà a sostenere la produzione vera e propria, con il completamento di interviste e riprese, la promozione e la distribuzione del documentario che verrà presentato nel 2023 (salvo imprevisti). Il progetto parte con il sostegno di FNSI e Teamdev, con il contributo straordinario del Premio Marcellino de Baggis e con il patrocinio dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti e Articolo 21, di Afeva, Basta Veleni, ISDE Italia – Medici per l’ambiente, Peacelink, Genitori Tarantini, Comitato Cittadini e lavoratori Liberi e Pensanti, Comitato Donne e Futuro per Taranto Libera, Centro Studi Sereno Regis, Medicina democratica, Osservatorio per la comunicazione e l’informazione nella PA in Italia e in Europa dell’Università degli Studi di Salerno.
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