Non si ferma la piaga del bracconaggio nel nostro Paese, dove si registrano ancora milioni di vittime ogni anno - malgrado le leggi a tutela degli uccelli selvatici esistano da decenni
Malgrado le lotte e le proteste di animalisti e ambientalisti, non si ferma la purulenta piaga del bracconaggio e dell’uccisione illegale di animali selvatici. La Lega Italiana Protezione Uccelli (LIPU) stima infatti che ogni anno, solo nel nostro Paese, più di 5 milioni di uccelli selvatici, spesso appartenenti a specie protette, vengano uccisi.
Il bracconaggio è illegale. A stabilirlo una legge entrata in vigore nel febbraio del 1992 e contenente “norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” – che così recita:
La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale. Lo Stato adotta le misure necessarie per mantenere o adeguare le popolazioni di tutte le specie di uccelli, tenendo conto delle esigenze economiche e ricreative e facendo in modo che le misure adottate non provochino un deterioramento dello stato di conservazione degli uccelli e dei loro habitat.
E ancora:
L’esercizio dell’attività venatoria è consentito purché non contrasti con l’esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole. […] Lo Stato incoraggia le ricerche, i monitoraggi e i lavori necessari per la protezione, la gestione e l’utilizzazione della popolazione di tutte le specie di uccelli.
Inoltre, secondo quanto stabilito dalla Direttiva del Parlamento Europeo del 2009 “concernente la conservazione degli uccelli selvatici” (la cosiddetta Direttiva Uccelli), vi sono in Italia 98 specie di uccelli a rischio di estinzione alle quali sono riservate speciali misure di conservazione. In pratica, questi volatili non possono essere catturati né tantomeno uccisi.
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Malgrado le leggi esistano, insomma, la strage scellerata di uccelli (come anche quella di altri animali selvatici) continua senza sosta. Gli uccelli vittime dei bracconieri sono di tutti i tipi: uccelli canori – come merli e allodole, catturati e utilizzati come richiamo vivi per dare la caccia ad altri animali, ma anche rapaci – come gufi o falchi, che spesso finiscono imbalsamati come macabri trofei di caccia.
La caccia alle rondini, poi rappresenta un mero esercizio sportivo: questi uccelli sono estremamente veloci e difficili da colpire – quindi riuscire ad abbatterne uno è considerata una prova di abilita fra i cacciatori.
L’ignoranza e la spietatezza dei cacciatori nei confronti delle specie di volatili che vanno ad uccidere non si ferma nemmeno di fronte a specie di animali molto rari e per le quali la Comunità Europea sta finanziando progetti di ripopolamento – come l’ibis eremita (di cui vi abbiamo parlato in questo articolo): secondo i dati UE, il 31% degli ibis che volano nei cieli italiani cade vittima dei bracconieri.
I luoghi del bracconaggio
La LIPU ha individuato, sul territorio nazionale, sette aree particolarmente critiche per le attività di caccia illegali definite i “blackspot del bracconaggio”, nelle quali si stima avvenga il 50% degli atti di bracconaggio italiani:
- le Prealpi lombardo-venete
- il Delta del Po
- le coste e zone umide pugliesi
- le coste pontino-campane
- lo Stretto di Messina
- la Sicilia occidentale
- la Sardegna meridionale
Esistono poi pratiche truculente e feroci connesse all’uccisione degli uccelli, illegali ma non ancora del tutto estinte, che causano indicibili sofferenze agli animali condannati a una lunga agonia prima della morte, come spiegano gli attivisti LIPU:
Si pensi alle allodole e ai tordi accecati per fungere da richiamo vivo, o ai pettirossi e agli altri insettivori catturati nelle valli bresciane, appesi a testa in giù con le zampe fratturate per ore prima che il bracconiere ne terminasse le sofferenze, o ai tordi in Sardegna, lentamente strozzati da sottili lacci di plastica.
Fonte: LIPU
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