Le nuvole negli strati più bassi dell’atmosfera potrebbero seccarsi e restringersi come le calotte glaciali oppure addensarsi e riflettere maggiormente la luce: questi gli scenari previsti da un nuovo studio guidato dall’Università del Texas ad Austin (Usa). Tutti e due per colpa dei cambiamenti climatici e nessuno dei due rassicurante
La CO2 emessa dalle attività umane (così come altri gas a effetto serra) aumenta, riscalda il pianeta, e potrebbe anche portarci ad un futuro senza nuvole: l’allarme arriva da uno studio guidato dall’Università del Texas ad Austin (Usa) secondo il quale potremo osservare le nuvole seccarsi e restringersi come le calotte glaciali oppure addensarsi e riflettere maggiormente la luce. E nessuno dei due scenari è rassicurante.
Le nuvole e gli aerosol (frammenti di fuliggine e polvere che addensano attorno a sé le goccioline di nubi, sono una componente importante degli scenari climatici, ma questi fenomeni si verificano su una scala di lunghezza e di tempo che i modelli odierni non riescono a riprodurre, e quindi sono necessarie non poche approssimazioni.
Se chiedi a due diversi modelli climatici come sarà il futuro quando aggiungiamo molta più CO2, ottieni due risposte molto diverse – spiega a questo proposito Michael Pritchard, primo autore della ricerca – E la ragione principale di ciò è il modo in cui le nuvole sono incluse nei modelli climatici
In altre parole le analisi dei modelli climatici globali mostrano sempre come le nuvole costituiscano la principale fonte di incertezza e instabilità. Tanto che il modello più avanzato si sta avvicinando a una risoluzione globale di 4 chilometri, ma, secondo Pritchard sarebbe necessaria una risoluzione di almeno 100 metri per catturare i vortici turbolenti che formano sistemi di nubi poco profonde, 40 volte più risolti in ogni direzione.
E per ottenere questo potremmo dover aspettare il 2060 quando si prevede che la potenza di calcolo sarà sufficiente a raggiungere questo livello di dettaglio.
Per sopperire a questa lacuna i ricercatori hanno suddiviso il problema in due parti: un modello planetario “a maglie larghe” e a risoluzione inferiore (100 km) e molte piccole patch con una risoluzione da 100 a 200 metri, che vengono eseguite indipendentemente in modo che possano scambiarsi i dati ogni 30 minuti per assicurarsi che nessuna delle due vada fuori strada o non sia realistica.
Questo metodo di simulazione climatica, chiamato ‘Multiscale Modeling Framework (MMF)’ esiste in realtà dal 2000 ed è stato a lungo un’opzione all’interno del modello CESM (Community Earth System Model), sviluppato presso il National Center for Atmospheric Research (USA). Ma solo più recentemente è stato “spinto” dai climatologi.
Il modello “rincorre” problema più difficile: la modellazione dell’intero pianeta – spiega ancora Pritchard – Include migliaia di piccoli micro-modelli che catturano cose come la formazione realistica di nubi poco profonde che emergono solo ad altissima risoluzione
La ricerca di Pritchard e il suo team è stata condotta tramite il supercomputer universitario più veloce al mondo, Frontera, finanziato dall’NSF, presso il Texas Advanced Computing Center (TACC), che i ricercatori sono riusciti ad usare per eseguire i modelli in una scala temporale accessibile solo su una manciata di sistemi negli Stati Uniti e a testarne il potenziale per la modellazione del sistema di nuvole.
Abbiamo sviluppato un metodo per suddividere al meglio il lavoro di simulazione della fisica delle nuvole su diverse parti del mondo che necessitano di diverse quantità di risoluzione in modo che funzioni molto più velocemente
scrivono i ricercatori
E ha funzionato, perché il sistema ha raggiunto una velocità quadrupla con grande efficienza, quindi ora è possibile essere quattro volte più ambiziosi sui modelli di risoluzione del sistema di nuvole, così cruciale per gli scenari climatici.
Risultato?
Se quelle nuvole si restringono come faranno le calotte glaciali, esponendo superfici più scure – spiega Pritchard – si amplificherà il riscaldamento globale e tutti i rischi che ne derivano. Ma se fanno l’opposto e si addensano è meno pericoloso
Meno pericoloso, ma non incoraggiante, inteso.
Non c’è altro da aggiungere.
Il lavoro è stato pubblicato sul Journal of Advances in Modeling Earth Systems.
Fonti: EurekAlert / Journal of Advances in Modeling Earth Systems
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