A novembre scorso la Commissione europea ha pubblicato la prima bozza della normativa per eliminare la deforestazione dalle catene di approvvigionamento dell’Ue. Una normativa che chiede per la prima volta alle aziende che immettono determinati prodotti e materie prime sul mercato comunitario di rintracciarne l’origine e dimostrare che non sono collegati alla distruzione o al degrado delle foreste. Un passo che, nemmeno a dirlo, non piace all’industria dell’olio di palma
Sono loro, in primis Ferrero, Nestlé, Mondelez e Mars, le lobby che rappresentano l’industria dell’olio di palma e che starebbero cercando di mettere il bastone tra le ruote alla normativa europea che dovrebbe impedire l’ingresso sul mercato comunitario di prodotti e materie prime la cui estrazione, raccolta o produzione ha gravi impatti sulla natura e sui diritti umani.
Erano pochi mesi fa, quando la Commissione europea rese pubblica la prima bozza della normativa, ma ora l’industria dell’olio di palma starebbe cercando di far saltare l’obbligo di indicare l’appezzamento di terreno sul quale sono state piantate le palme dai cui frutti si ottiene l’olio di palma.
Insomma, se l’attuale bozza dovesse essere approvata, le aziende che immettono determinati prodotti e materie prime – incluso l’olio di palma – sul mercato europeo, avrebbero l’obbligo di rintracciarne l’origine e dimostrare che non sono collegate alla distruzione o al degrado delle foreste.
In pratica, le grandi aziende del business dell’olio di palma non vogliono far sapere se, per fare spazio alle piantagioni, sia stata distrutta o meno la natura. In più, nella dichiarazione diffusa da otto associazioni di settore, si suggerisce di posticipare al 2030 l’applicazione della normativa sui prodotti a base di olio di palma.
Tra i gruppi che hanno firmato la “Dichiarazione congiunta delle organizzazioni del settore dell’olio di palma” riguardante la normativa Ue per fermare la deforestazione, ci sono l’Associazione delle industrie europee del cioccolato, biscotti e confetture (CAOBISCO), che ha tra i membri Ferrero, Nestlé, Mondelez e Mars e l’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile, di cui fanno parte Ferrero, Nestlé Italiana, Unigrà e Intercontinental Specialty Fats Italy.
L’industria dell’olio di palma – dicono da Greenpeace – non è la sola a voler indebolire la bozza di questa normativa. Lo scorso marzo, nonostante gli impegni presi alla COP 26 per accelerare la protezione delle foreste, quattro delle più grandi aziende agroalimentari al mondo (Bunge, Cargill, ADM e Viterra) si sono rivolte al Commissario europeo per il clima e il Green Deal europeo, Frans Timmermans, per cercare delle scappatoie per aggirare l’obbligo di tracciabilità di prodotti e materie prime.
Anche in quel caso, l’intento principale era evitare l’obbligo di indicare con precisione l’appezzamento di terreno dove sono state coltivate le materie prime (nel caso della soia e derivati, come i mangimi) o dove hanno pascolato gli animali (nel caso della carne e del cuoio).
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Fonte: Greenpeace
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