Sulla pratica dello shrinkflation (su cui abbiamo acceso i riflettori da alcuni mesi), che si sta diffondendo in tutto il mondo, è intervenuto anche l'Antistrust per valutare se si tratta di una pratica commerciale scorretta
Ne abbiamo parlato per primi a febbraio, quando ancora di shrinkflation non ne parlava quasi nessuno. Attraverso i nostri articoli, abbiamo acceso i riflettori su questa controversa operazione di marketing, partendo dalle segnalazioni dei nostri lettori riguardo alla riduzione del cibo umido per gatti. Negli scorsi mesi ci siamo occupati del fenomeno, da cui fino a qualche tempo fa pensavamo che il nostro Paese fosse immune (ma a quanto pare non è affatto così). Le nostre notizie sono sono state riprese da diverse testate, dopo che alcune radio ci hanno anche invitato a parlarne. Adesso la shrinkflation è diventata un fenomeno mediatico a tutti gli effetti e anche l’Antitrust è intervenuta su questa tecnica che prevede la riduzione della quantità di prodotto mantenendo i costi invariati.
Nel corso dell’audizione alla Commissione d’inchiesta sulla tutela dei consumatori e degli utenti, il direttore generale della Tutela del Consumatore dell’AGCM Giovanni Calabrò ha fatto sapere che sta monitorando il fenomeno “al fine di verificare se possa avere rilevanza ai fini dell’applicazione del Codice del Consumo, con particolare riferimento alla disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette”.
Cosa si intende con shrinkflation
Ma cos’è esattamente la shrinkflation? Il termine inglese proviene dalla fusione di “shrink” (letteralmente “restringere”) e inflation (“inflazione”) e in italiano può essere tradotta con la parola deflazione o ridimensionamento del pacchetto. Attraverso questa pratica, che trae in inganno i consumatori, le aziende diminuiscono il quantitativo dei prodotti messi in vendita senza aumentare i prezzi (ma riuscendo comunque a guadagnare di più).
Il fenomeno ha preso piede in diversi Paesi del mondo: dall’Australia all’India, passando per l’Europa. Un’indagine condotta recentemente in Australia dal gruppo di difesa dei consumatori Choice ha svelato che aziende come Nestlé, Kellogg’s, Purina e Cadbury hanno ridotto le dimensioni dei loro prodotti, mantenendo lo stesso prezzo o addirittura facendolo lievitare un po’. Diverse associazioni che si occupano di tutela dei consumatori, fra cui il Codacons e l’Unione Nazionale Consumatori, hanno chiesto l’apertura di indagini sulla questione per proteggere gli acquirenti.
Come difendersi dal fenomeno
Ma come possiamo tutelarci da questa pratica che ci trae in inganno? L’unico modo è leggere con attenzione le etichette, facendo caso al rapporto tra chili/litri e prezzo dei prodotti e non farci abbagliare dalle confezioni innovative. L’ideale, poi, sarebbe fare la spesa sfusa per ridurre gli imballaggi e fare quindi un regalo all’ambiente.
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Fonte: Ansa
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