Come un medico musulmano ha salvato una ragazza ebrea dalla morte durante l’Olocausto

Sotterfugi, coraggio e attaccamento alla vita hanno permesso a questo medico egiziano di salvare Anna Boros facendola passare per nipote e assistente nello studio medico nonostante il fiato sul collo della Gestapo. Dal 2003 Helmy è inserito nella lista dei nomi dei "Giusti tra le nazioni"

Quando il Mohammed Helmy si trasferì a Berlino nel 1922 per studiare medicina non poteva di certo immaginare che la sua vita sarebbe stata stravolta dall’ascesa della follia nazista né che sarebbe stato capace di incredibili atti di eroismo che hanno permesso di salvare vite, come quelle di Anna Boros.

Chi era Mohammed Helmy

Nato in Egitto nel 1901 in una famiglia benestante, Mohammed Helmy a 21 anni si trasferì a Berlino per diventare un dottore. Conseguita la laurea iniziò a lavorare al Robert Koch Hospital (poi chiamato Moabit Hospital) e pensava anche di sposare la fidanzata tedesca Emmi ma la storia stravolse la sua tranquilla quotidianità.

Il primo incontro ravvicinato con la violenza della Gestapo avvenne nel 1933 quando venne perquisito l’ospedale nel quale lavorava e radunati tutti i medici ebrei poi vennero torturati e picchiati selvaggiamente.

Helmy venne risparmiato: non era ariano ma nemmeno ebreo. Si trovò così a lavorare accanto a medici nazisti privi di esperienza tecnica. La sua condotta, ovvero salutare a inizio mattina i “colleghi” con un Guten Tag anziché con Heil Hitler, il sospetto che aiutasse gli ebrei con le sue competenze mediche fecero sì che nel 1937 il contratto non venne rinnovato. Aprì uno studio privato cerando di non dare troppo nell’occhio.

L’incontro con la piccola Anna

L’anno precedente al licenziamento Mohammed fece visita a uno dei suoi pazienti, Cecilie Rudnik non tanto per un consulto medico quanto per un aiuto di altro tipo. L’attività al mercato di frutta e verdura venne impedita così come la possibilità di fare la spesa fino al pomeriggio quando erano disponibili solo gli scarti.

La paura per la propria vita era tangibile ma soprattutto quella per la nipote undicenne, Anna che doveva essere salvata. Nonostante le due incarcerazioni nel 1939 e nel 1940 Helmy non lasciò Berlino e soprattutto non dimenticò la bambina che aveva incontrato.

L’inizio di una vita pericolosa

Ripresa l’attività medica Mohammed fece comparire nel suo studio una nipote, Nadia. La nuova vita di Anna aveva così inizio, nascosta dal velo, dietro una conversione per necessità, sempre accanto a questo medico che aiutava anche durate alcune visite, facendo finta anche di capire le indicazioni che lui le rivolgeva in arabo per rendere più credibile la copertura.

I sospetti che stesse aiutando gli ebrei non erano sopiti tanto che le milizie tedesche irruppero nello studio cercando Anna ma trovarono Nadia. Era chiaro a entrambi che il cerchio attorno a questa copertura si stava stringendo tanto che Helmy cercò di organizzare un matrimonio con un amico al fine di far ottenere a questa ragazza il passaporto egiziano e una via di fuga verso la Palestina. Ma senza successo.

L’ultimo sotterfugio prima della fine della guerra

La polizia era certa che Mohammed stava nascondendo Anna nella sua abitazione che perquisirono più volte senza trovarla. Il medico eroe riuscì a trasferire la ragazza in varie abitazioni di amici e a regalarle così un giorno di vita dopo l’altro.

Quando venne scoperto l’ultimo nascondiglio della giovane, mise in atto un ultimo incredibile piano. Consegnò alla Gestapo una lettera scritta da Anna, e ricevuta realmente via posta, in cui la ragazza confessava l’inganno: non era Nadia, non era musulmana ma soprattutto era fuggita. In realtà era nascosta in un capanno, senza alcun contatto con l’esterno, in attesa che quei giorni potessero finire presto.

Giusto tra le nazioni

Quando la guerra finì Anna tornò a vivere come una donna libera. Anni dopo sposò Chaim Gutman, un ebreo polacco con il quale si trasferì a New York. I contatti con Helmy continuarono, si scrissero e si fecero visita reciprocamente più volte.

Lui, dopo aver sposato Emmy, conitnuò a Berlino fino alla morte avvenuta nel 1982. Anna invece si spense qualche anno dopo, nel 1986. È grazie all’impegno dei figli della donna che il nome di Mohammed Helmy è incluso tra i 25mila Giusti tra le nazioni che hanno aiutato gli ebrei durante la seconda guerra mondiale al memoriale Yad Vashem Holocast a Gerusalemme.

La storia è stata raccontata nel libro “Anna and Dr. Helmy”, del giornalista tedesco Ronen Steinke che ha ricostruito gli accadimenti mettendo assieme documenti e lettere per raccontare una vicenda incredibile che merita di essere raccontata soprattutto ora che le voci dei sopravvissuti, per motivi di età, è sempre più flebile.

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Fonte: Yad Vashem

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