Non ci convince l’iniziativa del Comune di Milano di inscatolare l’acqua del Sindaco nei brick. Seppur dedicati solo ad occasioni specifiche, voler promuovere acqua di rete non significa produrre (e gettare nei rifiuti) ulteriori materiali. Anche e soprattutto se i brick non esattamente sono la scelta più green
L’acqua di Milano, sana, buona e controllata, da oggi diventa anche “à porter”, comoda e sostenibile, da consumare ovunque. Così il Comune di Milano, in occasione della Giornata mondiale dell’acqua del 22 marzo, ha illustrato l’impianto di riempimento di acqua potabile in confezioni di cartone poliaccoppiato, il famoso brick, riciclabile e “prodotto in modo ecosostenibile”.
Un’acqua confezionata a tutti gli effetti, quindi, che – come si legge nella nota – sarà destinata alla Protezione civile per la distribuzione alla cittadinanza in caso di guasto o interruzione localizzata del servizio e potrà essere distribuita nel corso di eventi particolari, come i concerti, le manifestazioni culturali e quelle sportive.
L’acqua di Milano è costantemente monitorata secondo un programma di campionamento condiviso con l’Agenzia di tutela della salute (ATS) e non viene mai sprecata: infatti oggi le perdite idriche della città si attestato attorno al 14% e sono in costante diminuzione contro la media annua italiana che è del 45%. Il valore medio del residuo fisso dell’acqua di Milano varia, tra le diverse zone, dai 200 ai 450 mg/l e ciò permette di classificare l’acqua della città come “oligominerale”, ideale quindi per la salute di tutti, continua la nota stampa.
E allora, bene ma non benissimo. Perché inscatolare quest’acqua? Rimane pur sempre un bene comune, dunque perché affidarci, nonostante tutto, a materiali sostenibili?
Ma sostenibili, poi, lo sono davvero?
Acqua in brick al posto della plastica, siamo sicuri che sia una scelta davvero green?
Assai arduo è considerare che l’acqua in brick sia un’opzione “migliore” della bottiglia di plastica. Ma andiamo con ordine, cos’è il brick?
Come spiegato qui, si tratta di un poliaccoppiato, ossia di un materiale a più strati. Quali sono questi strati? Polietilene vegetale, strato adesivo impermeabile, carta e alluminio, cui si va ad aggiungere essi un tappo di plastica, che a volte potrebbe anche essere vegetale certificata. Una volta raccolta separatamente, però, difficilmente questo tipo di confezione sarà davvero avviata al riciclo, anche e soprattutto perché sono pochi nel nostro Paese gli impianti ad hoc.
O meglio: i diversi materiali di cui è composto il brick sono difficilmente separabili. Questo rende particolarmente complicato il loro riciclo nelle cartiere convenzionali non specializzate. Sono pochi gli impianti al mondo in grado di riciclarli efficacemente e in grado di recuperare e valorizzare tutte le tre componenti: 170 di cui 20 in Europa e soltanto due in Italia.
Il paradosso è quindi questo: le bottiglie in PET, al contrario dei contenitori in poliaccoppiato, sono facilmente riciclabili e si possono ormai realizzare con plastica riciclata e piccole percentuali di polimero vergine.
Resta comunque un dato incontrovertibile: la necessità assoluta di ridurre fino ad eliminare del tutto il ricorso all’acqua imbottigliata e usare solo acqua del rubinetto. Una necessità che deve prescindere per natura da qualsiasi forma di imballaggio.
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Fonti: Comune di Milano / Comuni Virtuosi
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