Un nuovo studio condotto negli Stati Uniti ha dimostrato gli effetti dannosi di un comune additivo alimentare utilizzato come emulsionante
A partire dal secolo scorso, sono numerosi gli additivi alimentari approvati per il consumo umano perché ritenuti sicuri per la nostra salute sulla base di ricerche che hanno dimostrato che queste sostanze passano attraverso l’intestino senza particolari effetti collaterale, venendo poi eliminati con le feci senza pericolo che vengano assorbiti. Tuttavia, studi recenti stanno mettendo in dubbio la sicurezza di queste sostanze comunissime nel cibo che mangiamo ogni giorno: per esempio, solo in tempi recenti si è scoperto che il biossido di titanio, utilizzato per decenni come colorante alimentare bianco e ritenuto non tossico, ha pesanti effetti collaterali sul microbioma intestinale – tanto che molti Paesi nel mondo lo hanno ormai vietato per l’uso alimentare.
Ora un nuovo studio ha osservato gli effetti sui batteri intestinali umani di un altro additivo alimentare molto comune: la carbossimetilcellulosa (CMC), utilizzata a partire dagli anni ’60 come emulsionante o agente addensante e classificato con i codici E466 ed E469.
Gli effetti collaterali degli additivi E466 ed E469
Secondo i ricercatori dell’Università della Georgia, la CMC influenzerebbe lo stato di salute del microbioma intestinale, favorendo lo sviluppo di malattie infiammatorie. Lo studio ha coinvolto 16 volontari che hanno seguito un regime alimentare controllato per 11 giorni: alcuni di loro hanno assunto alimenti contenenti CMC, altri invece non hanno assunto CMC. Alla fine dell’esperimento sono stati osservati notevoli cambiamenti nelle popolazioni di batteri intestinali in coloro che avevano assunto l’additivo rispetto al gruppo di controllo. Ma non solo: oltre ai cambiamenti nel microbioma, sono state rilevate alterazioni dei metaboliti batterici, comprese riduzioni degli acidi grassi a catena corta e degli amminoacidi liberi.
(Leggi anche: Gli 8 additivi alimentari maggiormente presenti nei 3/4 del cibo confezionato che mangiamo)
Abbiamo osservato forti cambiamenti nel microbioma intestinale, nel metaboloma fecale e, in un sottoinsieme dei partecipanti, nell’invasione del microbiota sull’epitelio intestinale – scrivono i ricercatori. – I cambiamenti predominanti nel metaboloma fecale durante l’alimentazione addizionata con CMC erano la perdita di metaboliti presumibilmente benefici. Immaginiamo che questo cambiamento rifletta probabilmente l’interruzione generale dell’omeostasi della comunità microbica.
Ovviamente, la brevissima durata dello studio non ha permesso ai ricercatori di stabilire un legame certo fra il consumo di CMC e lo sviluppo di infiammazioni a livello dell’intestino. Tuttavia, anche solo i cambiamenti osservati nel breve periodo sono correlati a biomarcatori precedentemente associati a malattie infiammatorie. In ogni caso, i ricercatori hanno ipotizzato che l’assunzione di questo additivo alimentare possa aver svolto un ruolo chiave nella diffusione di infiammazioni intestinali, sempre più frequenti a partire dalla seconda metà del secolo scorso – quando si è andato imponendo un consumo sempre maggiore degli additivi alimentari grazie alla diffusione di cibi altamente trasformati.
CMC: dove si trova
Data la sua solubilità anche a freddo e la sua viscosità, questo additivo alimentare è utilizzato per la stabilizzazione di prodotti congelati (gelati, ghiaccioli) poiché consente di conservare la consistenza cremosa (inibisce la formazione dei cristalli di ghiaccio) e di resistere agli shock termici. Come addensante si trova in molti condimenti, quali dressing per insalate o sughi pronti, ma anche in bevande analcoliche senza zuccheri e addizionate con dolcificanti artificiali. Infine, la CMC si trova in numerosi prodotti da forno (biscotti, merendine, panini confezionati), nelle miscele e nei preparati per torte.
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Fonti: Gastroenterology / Small / CSPI
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