Come le piantagioni di avocado in Colombia stanno mettendo seriamente a rischio la fauna locale

Il boom dell'avocado in Colombia sta provocando deforestazione e mettendo a rischio la biodiversità della fauna locale

Dopo il boom di richieste di avocado a livello mondiale, le piantagioni della varietà Hass in Colombia hanno sostituito le colture di caffè in molte zone rurali. Gli scienziati ambientali avvertono però che questo cambiamento potrebbe avere gravi conseguenze per la fauna locale.

In uno speciale dedicato ai costi nascosti dell'”oro verde”, così viene definito l’avocado, Al Jazeera riassume la rapida espansione delle piantagioni di avocado in Colombia. Questa è iniziata nel 2014 quando gli agricoltori hanno esportato 1.408 tonnellate di avocado Hass e da allora l’industria è esplosa, raggiungendo un record di 544.933 tonnellate esportate nel 2020, secondo i dati del governo colombiano.

È da circa 7 anni, dunque, che spinti dall’impennata della domanda globale e dai prezzi del frutto, molti contadini hanno scelto di convertire le piantagioni di caffè in alcune zone del Paese in coltivazioni di avocado. Questo è dovuto anche al fatto che i cambiamenti climatici, che hanno provocato grande siccità, alternata a stagioni di violente piogge, rendevano sempre più a rischio i raccolti di caffè.

Si è scelto quindi di seguire la scia del boom dell’avocado, il che però ha drasticamente modificato ampie aree della Colombia, trasformando il paesaggio delle montagne andine ricche di foreste che circondano le città, in un nuovo scenario in cui protagoniste sono le fattorie di avocado che si estendono a dismisura.

Come ha dichiarato Riobardo Zapata, uno dei contadini locali intervistati da Al Jazeera:

Tutta la mia vita, la mia famiglia, i miei nonni, i miei genitori, tutti hanno coltivato il caffè. Ma ora il caffè sta scomparendo e l’avocado sta prendendo il suo posto.

Un cambiamento che però porta con sé una serie di conseguenze. Gli scienziati avvertono infatti che la coltivazione eccessiva del frutto rappresenta una minaccia ambientale in uno dei luoghi che custodisce maggiore biodiversità al mondo.

Come ha dichiarato Joaquin Guillermo Ramirez, un ricercatore dell’Università Nazionale della Colombia, se da una parte il boom dell’avocado ha permesso ai contadini di ottenere un salario equo, dall’altro ha portato ad approfittarsi un po’ troppo della situazione, andando a coltivare i frutti anche in aree che non sarebbero idonee.

Questo comporta il consumare più risorse, in primis acqua, ma anche sostanze chimiche, ovvero pesticidi, per evitare che le piantagioni siano attaccate da parassiti e microrganismi. 

L’avocado, lo ricordiamo, già di per sé è un grande consumatore di risorse. Secondo il Water Footprint Network, un’organizzazione no-profit con sede nei Paesi Bassi, per produrre un chilogrammo di avocado in Cile occorrono circa 283 litri di acqua. Sono quattro volte quello che serve per produrre un chilo di arance e 10 volte quello che serve per i pomodori.

Agricoltori e funzionari locali hanno poi dichiarato ad Al Jazeera che alcuni produttori di avocado sono soliti tagliare e bruciare alberi nelle montagne circostanti per liberare la terra per i loro raccolti. In parole povere per far spazio alle coltivazioni di avocado si ricorre alla deforestazione. 

Ciò include l’abbattimento della palma da cera, in via di estinzione in Colombia, un problema che può avere pesanti ripercussioni su specie vulnerabili come il pappagallo dalle orecchie gialle, che dipende da quest’albero per sopravvivere. Insomma le coltivazioni intensive di avocado stanno seriamente mettendo a rischio la fauna locale.

E quello che preoccupa è che in Colombia l’industria dell’avocado sembra destinata a crescere e ciò va di pari passo con la crisi climatica che continua a spingere le condizioni meteorologiche verso nuovi estremi.

Quello che possiamo consigliarvi, se consumate avocado, è di acquistarlo di provenienza italiana. Ormai da diversi anni, infatti, questo frutto viene coltivato anche in alcune zone del nostro Paese, in particolare Calabria e Sicilia.

Fonte: Aljazeera

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