Dal 2023 nell'Ue nuove etichette informeranno sull'impatto ambientale di vestiti e scarpe. Make the Label Count chiede di modificarle
A partire dal 2023, nei paesi dell’Unione europea vestiti e scarpe saranno dotati di nuove etichette che informeranno i consumatori sull’impatto ambientale dei prodotti. Ma c’è un problema, come segnala la campagna Make the Label Count lanciata questa settimana: il sistema di misurazione sviluppato per valutare i capi d’abbigliamento è fuorviante e non in linea con gli obiettivi climatici dell’Ue.
Dato che, come è ormai noto, la moda inquina (e anche molto) è importante e utile che nel momento in cui acquistiamo vestiti o scarpe ci venga fornita subito la possibilità di valutare la sostenibilità di quello specifico prodotto. Da questa esigenza nasce appunto l’etichetta che, dal 2023, sarà obbligatoria nell’Ue. Un bel passo avanti sulla via della trasparenza ma si può e si deve fare di meglio. (Leggi anche: Moda tossica: i nostri vestiti sono secondi solo al petrolio quanto a inquinamento)
A sostenerlo è la campagna ‘Make the Label Count‘, lanciata da una coalizione internazionale di organizzazioni, che chiede alla Commissione Europea di modificare l’etichetta ad oggi prevista, nell’ottica di fornire informazioni più complete e accurate.
Il problema è che il metodo scelto dalla Commissione Ue per valutare l’impatto ambientale di vestiti e scarpe (il Product Environmental Footprint – PEF) è, a detta della coalizione di organizzazioni, incompleto e fuorviante per i consumatori. C’è il rischio infatti che questi, benintenzionati a seguirlo, si trovino ad acquistare capi d’abbigliamento o scarpe con un reale impatto ambientale peggiore di quanto riportato in etichetta.
In pratica, il metodo scelto per l’etichettatura dei vestiti non è abbastanza severo, non è adatto per l’industria della moda e non riflette le ambizioni di sostenibilità dell’Ue (che sono aumentate negli ultimi anni). Non rispecchia neppure gli attuali pareri scientifici, che vedono l’inquinamento da microplastiche come uno dei principali rischi per l’ambiente.
Quali sono le mancanze? La campagna Make the Label Count segnala ad esempio che le fibre derivate da combustibili fossili come il poliestere saranno certificate come più rispettose dell’ambiente rispetto alle fibre naturali.
Dalena White, segretaria generale dell’International Wool Textile Organisation ha spiegato la ragione:
Secondo il sistema attuale, tutte le fibre naturali avranno un punteggio rosso. Questo perché l’inquinamento da microplastiche, la biodegradabilità e la rinnovabilità sono esclusi dai criteri di valutazione, e quelle sono le aree in cui le fibre naturali spiccano davvero.
Il PEF non riconosce l’intero impatto ambientale delle fibre ottenute da combustibili fossili e non tiene conto pienamente nemmeno degli impatti positivi, come i benefici che si hanno dall’uso di fibre naturali “circolari” ovvero rinnovabili, riciclabili e biodegradabili.
Tutto questo potrebbe rendere le etichette di sostenibilità fuorvianti e indirizzare i consumatori verso scelte peggiori.
La campagna ricorda e sottolinea che i consumatori hanno bisogno di avere informazioni affidabili su diversi aspetti della produzione di quel capo o paio di scarpe:
- che siano realizzati con materiali rinnovabili e biodegradabili
- se sono riutilizzabili e riciclabili
- se contribuiscono all’inquinamento da microplastiche
Aspetti che, ad oggi, non sono compresi nel PEF.
In effetti, un sistema che non tiene conto dell’inquinamento da microplastiche dell’industria della moda, è sicuramente da rivedere. Ed è quello che si augurano tutti gli attivisti. Come ha dichiarato la dottoressa White:
La soluzione più pratica sarebbe quella di prendere tutto il duro lavoro che è stato fatto nello sviluppo del PEF e aggiungervi i punti mancanti. Non abbiamo molto tempo.
Make the Label Count propone un’etichettatura con un approccio più “olistico” che da una parte tenga conto degli impatti dannosi di alcuni tessuti, dall’altra vada a premiare quelli positivi. Inoltre le nuove etichette dovrebbero riflettere meglio il piano Ue per un’economia circolare.
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Fonte: Make the Label Count
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