‘Climate Clock’: le nazioni ricche sono in debito di 90 miliardi di dollari all’anno per salvare l’ambiente

Esiste un orologio che ci rende consapevoli del tempo che ci resta per frenare gli effetti del riscaldamento globale

Esiste un orologio che, come il timer di una bomba, ci rende consapevoli del tempo che ci resta per provare a frenare gli effetti del riscaldamento globale, e invita i potenti della Terra all’azione immediata

Il primo Climate Clock è spuntato nel settembre del 2020 sulla parete in vetro e acciaio di un grattacielo a Union Square, nel centro di New York: un allarme che indica a caratteri cubitali quanto tempo resta all’umanità per agire e salvarsi così dagli effetti devastanti del cambiamento climatico – proprio come il timer che scorre sopra una bomba pronta ad esplodere. Secondo i calcoli, restano poco meno di 8 anni all’umanità per ridurre drasticamente le emissioni di gas serra e scongiurare il rischio di danni permanenti all’ambiente.

Il nuovo report diffuso dall’IPCC ha mandato un messaggio chiaro ed inequivocabile – denuncia Laura Berri, attivista di Climate Clock. – Siamo nel pieno di un’emergenza climatica e, se non invertiamo la rotta immediatamente, presto avverrà la catastrofe che gli scienziati prevedono. Gli Stati Uniti rappresentano il 5% della popolazione mondiale, ma sono responsabili del 25% delle emissioni di diossido di carbonio nell’atmosfera. C’è bisogno urgente che i paesi ricchi, i maggiori produttori di inquinamento, si impegnino concretamente per risolvere il problema.

Secondo il Climate Clock, i paesi ricchi sono in debito di ben 90,5 miliardi di dollari nei confronti del Green Climate Fund, un’iniziativa delle Nazioni Unite nata nel 2010 con lo scopo di aiutare i paesi più poveri del mondo a sviluppare sistemi di energia rinnovabile robusti e sostenibili. L’Africa e le altre regioni del mondo che soffrono maggiormente gli effetti della crisi climatica meritano di essere aiutate e salvate dai paesi più ricchi, secondo gli attivisti. In una recente conferenza stampa il primo ministro britannico, Boris Johnson, ha affermato che è improbabile che le nazioni ricche riescano a raccogliere ogni anno i 100 miliardi di dollari richiesti dal Green Climate Fund, nonostante tutti siano concordi nel ritenere quella climatica un’emergenza.

L’emergenza climatica, purtroppo, non è solo ambientale ma anche e soprattutto sociale: un report dell’associazione no-profit Oxfam dimostra che le nazioni ricche dovrebbero sborsare fino a 75 miliardi di dollari per supportare economicamente l’impegno di aiutare i paesi più poveri del mondo a fronteggiare gli effetti della crisi climatica. Il riscaldamento globale, infatti, sta mietendo vittime proprio nelle aree del mondo più svantaggiate, che meno hanno a che fare con l’inquinamento dell’ambiente – come Senegal, Guatemala e Madagascar, dove centinaia di persone hanno perso la vita a causa di tempeste estreme e siccità croniche.

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Fonte: Climate Clock / Oxfam

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