Fast fashion: così Shein ha rilasciato false dichiarazioni sulle condizioni di lavoro delle sue fabbriche

L'azienda di abbigliamento cinese Shein che vende online è accusata di non essere trasparente sulle condizioni dei lavoratori delle fabbriche

L’azienda di abbigliamento cinese Shein che vende online è accusata di non essere trasparente sulle condizioni dei lavoratori delle fabbriche

Il noto marchio cinese Shein, che spopola online proponendo abbigliamento e accessori alla moda a prezzi stracciati, è ora accusato nel Regno Unito di non essere trasparente sulle condizioni di lavoro delle fabbriche e, peggio ancora, di aver rilasciato false dichiarazioni in merito.

Anche se non siete consumatori di moda “usa e getta”, vi sarà probabilmente capitato di vedere la pubblicità di Shein, società che ha sede in Cina ma vende online a clienti solo al di fuori del paese, proponendo abbigliamento ed accessori fashion a prezzi bassissimi. Il marchio è famoso in particolare per i suoi shorts, top e bikini ultra economici, è molto attivo sui social e recentemente ha annunciato addirittura il proprio reality show in lingua inglese.

A giugno, è stato riferito che la società aveva superato H&M, Zara e Forever 21 come il più grande rivenditore di “fast fashion” negli Stati Uniti.

Ora però, nel Regno Unito, il marchio è finito sotto accusa dato che, secondo quanto riporta la Reuters, non ha divulgato le informazioni necessarie sull’approvvigionamento dei suoi prodotti, rilasciando addirittura false dichiarazioni in merito al lavoro nelle fabbriche da cui arrivano i capi e gli accessori che vende. Un’accusa che sta facendo, come è giusto, il giro del mondo.

Ma partiamo dall’inizio. In Gran Bretagna, le aziende di una certa dimensione (ovvero quelle che vendono oltre 36 milioni di sterline di beni a livello globale all’anno) devono indicare in modo molto chiaro e ben visibile per i consumatori, sul proprio sito di e-commerce, le misure adottate per combattere il lavoro forzato come richiede il Modern Slavery Act 2015.

Shein, però, non solo non ha reso pubbliche tali informazioni ma, fino al 26 luglio, come scrive la Reuters, sul sito del brand si trovavano dichiarazioni false in merito alle condizioni nelle fabbriche, che si sosteneva fossero certificate da organismi internazionali per gli standard del lavoro (Organizzazione Internazionale per la standardizzazione – Iso)  e che l’azienda era “orgogliosamente conforme a rigorosi standard di lavoro equi stabiliti da organizzazioni internazionali come SA8000”.

Tutto questo però non era vero e, anche se Shein afferma che non si serve di lavoro minorile o forzato, ciò non basta, dato che la società non fornisce le informazioni complete sulla catena di approvvigionamento che sono appunto richieste per legge.

È stata proprio la Reuters a smascherare le false dichiarazioni in merito alle certificazioni e, in seguito alla segnalazione, Shein ha immediatamente rimosso i nomi delle due organizzazioni dalla pagina dedicata alla responsabilità sociale dell’azienda.

Inoltre Shein, che si è rifiutata di fornire le sue entrate annuali a Reuters affermando che non rivela pubblicamente tali informazioni, ha dichiarato tramite un portavoce che è in procinto di finalizzare le dichiarazioni richieste dalla legge del Regno Unito e prevede di pubblicarle a breve sul suo sito:

Stiamo sviluppando politiche complete, che pubblicheremo sul nostro sito Web nelle prossime due settimane.

Reuters comunque scrive che non è stata in grado di valutare in modo indipendente le condizioni di lavoro nelle fabbriche utilizzate da Shein o i salari che paga e che il rivenditore non ha risposto a esplicite richieste di commento su quali siano i suoi standard per i fornitori.

Nel frattempo, in attesa di una trasparenza maggiore, questo grande rivenditore fa affari miliardari vendendo cose di bassa qualità a prezzi stracciati. E noi che apprezziamo la sostenibilità e le cose che durano e si riutilizzano a lungo, non possiamo che consigliare di orientarvi su un altro genere di moda.

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Fonte: Reuters

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