Creme solari: Giula De Lellis, ma cosa dici? La protezione 50 non è uguale alla 30 o alla 20!

SPF indica il fattore di protezione solare, che non è sempre uguale: più basso è il numero, minore è la protezione, ma dipende dal fototipo

La sigla SPF è l’acronimo di Sun Protector Factor. Letteralmente, quel “numerino” indica il fattore di protezione solare, che non è sempre uguale: più basso è il numero, minore è la protezione. Cosa usare dipende dal fototipo e da altri fattori

Creme solari, attenzione a ciò che gli influencer dicono nei loro post! Non sempre, infatti, passano messaggi corretti e, soprattutto quando si tratta di salute, è bene prendere tutto con le pinze e affidarsi, piuttosto, solo a consigli di esperti.

È il caso di Giulia De Lellis, che nei giorni scorsi ha pensato bene di dispensare – tramite le sue stories – dei consigli in fatto di protezioni solari e SPF.

L’altro giorno do la protezione 50 a Ludo e mi fa ‘no la 50 protegge troppo non mi abbronzo preferisco mettere la 30’ – racconta la De Lellis. In realtà la 50, la 30 e la 20 proteggono tutte allo stesso modo, solo che la 50 dura di più, la 30 meno, la 20 ancora meno, la 15 ve la dovete mettere ogni 2 ore. Non cambia nulla semplicemente se prendete la 50 ve la dovete mettere meno volte durante la giornata.

Due fanfaluche in una sola frase:

  1. innanzitutto, sfatiamo il mito che chi si spalma la crema solare, anche SPF 50, è destinato a non abbronzarsi. La protezione solare alta o molto alta non impedisce al tessuto cutaneo di abbronzarsi, perché la melanina viene comunque prodotta dalla pelle non appena ci si espone sole. Lo scopo dei prodotti solari con SPF alto è piuttosto aiutare a prevenire e ritardare la comparsa di eritemi e scottature. È vero invece il contrario: senza protezione non ci si abbronza prima ma ci si scotta prima! Non mettere su viso e corpo la protezione sulla pelle significa innanzitutto esporla a rischi anche molto gravi.
  2. l’SPF indica la capacità di filtrare i raggi UVB: in un solare, più elevato è l’SPF, più alto è il grado di protezione contro i raggi UV. Indi per cui, non sono tutti uguali.

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I raggi UVA, UVB e UVC

Partiamo dalla differenza tra i diversi tipi di raggi ultravioletti. Caratterizzati dalla loro lunghezza d’onda, sono distinti in:

  • raggi UVC (con una lunghezza d’onda tra 100 e 280 nanometri)
  • raggi UVB (tra 280 e 320 nm)
  • UVA (da 320 a 400 nm)
  • raggi UVC vengono filtrati dallo strato d’ozono e non raggiungono la superficie terrestre
Gli UVB (circa il 5% della radiazione totale UV), hanno forte carica energetica e per questo sono piuttosto aggressivi e stimolano l’abbronzatura. Vengono in parte trattenuti dalla fascia di ozono, dalla troposfera e dalle nuvole, ma nel momento in cui colpiscono l’organismo non superano l’epidermide. La loro intensità è influenzata da diversi parametri come la stagione, l’ora del giorno, la latitudine e l’altitudine.

Gli UVA (circa il 95% dei raggi UV) sono trattenuti molto poco dall’atmosfera e dalle nuvole, per cui risultano più penetranti e, se non provocano ustioni e non abbronzano realmente, sono in grado di penetrare fino al derma, accelerano i processi di invecchiamento della cute. Diversamente da quella degli UVB, l’intensità degli UVA che raggiungono la superficie terrestre è costante durante l’anno: è per questo che le creme protettive andrebbero applicate non soltanto nei mesi estivi, ma ogniqualvolta ci si trova alla luce del sole.

Cos’è che abbronza allora?

Gli UVA portano a un’ossidazione della melanina già in nostra “dotazione”, per cui conferiscono alla pelle una colorazione che durerà poco tempo e che in estate compare già dopo poche ore dalla prima esposizione. Solo se ci si continua ad esporre con regolarità, a conferire una vera e propria abbronzatura sono gli UVB, che stimolano la proliferazione dei melanosomi, organuli responsabili della produzione di melanina.

Secondo il National Cancer Institute, il tasso di nuovi casi di melanoma tra gli adulti americani è triplicato in quarant’anni. Complice una diagnosi più dettagliata, non va in ogni caso dimenticato che la protezione solare va sempre usata e che le ore più vulnerabili sono quelle tra le 11 e le 16.

L’SPF, il fattore di protezione solare

E torniamo a quel “numerino” così mal posto dalla De Lellis.

L’SPF, il Sun Protection Factor, fu introdotto negli anni ’60 e indica quante volte l’esposizione UVB di una persona sarà ridotta una volta applicata la protezione solare. Ad esempio, se occorrono 15 minuti al sole perché la pelle si bruci, spalmare una SPF 15 “allunga” l’effetto per 15 volte, il che significa che ci vogliono tre ore e 45 minuti perché la pelle abbia lo stesso effetto. Una crema solare con indice SPF 100 significa che la stessa persona sarebbe protetta per più di 24 ore.

L’SPF è in buona sostanza un parametro numerico volto a informare il consumatore riguardo l’efficacia protettiva dei cosmetici solari e:

  • sulla quantità di raggi UVB bloccati dalla crema
  • sul tempo utile ai raggi UVB di oltrepassare la protezione solare e provocare eritema (Leggi anche: Eritema solare: cause, tutti i rimedi e come prevenirlo)
  • sulla quantità di radiazione incidente che riesce a penetrare nella pelle

L’SPF va scelto secondo il proprio fototipo di pelle:

  • fattore molto elevato (50+ o schermo totale) in caso di pelli molto chiare e capelli rossi o biondi (fototipo 1)
  • protezione alta/molto alta (tra 50+ e 30) con pelle chiara e cappelli castano o biondi (fototipo 2)
  • protezione media con SPF tra 25 e 15 in caso di capelli biondo scuro e/o pelle sensibile (fototipo 3) o con capelli castani e pelle moderatamente sensibile (fototipo 4)
  • SPF anche basso, tra 10 e 6 per capelli scuri e carnagione olivastra (fototipo 5) o capelli scurissimi e pelle scura (fototipo 6)

Come si legge sul sito della Fondazione Veronesi, infine, nessuna quindi può schermare in modo totale e tutte vanno applicate almeno ogni 2 ore durante l’arco della giornata.

Leggi tutti i nostri articoli sulle creme solari.

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