Fish, atleta che ricorre allo sport per la sua campagna in difesa delle indigene americane assassinate e abusate nelle riserve statunitensi.
Rosalie Fish è un’atleta statunitense di vent’anni, nata a Auburn (Washington). Di origini native americane, appartiene alla tribù Cowlitz della riserva di Muckleshoot. Studentessa presso lo Iowa Central Community College, corre per la squadra del suo istituto.
Attivista sociale oltre che impegnata nell’atletica leggera, dal suo ultimo anno di liceo Fish ha iniziato una vasta campagna di sensibilizzazione sul problema delle donne indigene scomparse e uccise (missing and murdered Indigenous women – MMIW), una crisi umanitaria di proporzioni preoccupanti che coinvolge Canada e Stati Uniti.
Secondo gli ultimi dati pubblicati dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, in alcune riserve le donne indigene subirebbero violenze sessuali e femminicidi con una probabilità, rispettivamente, di 2 e 10 volte superiore rispetto alla media nazionale.
https://twitter.com/LivermontTigh/status/1122553180401881088
Quando lo sport incontra il sociale
In una gara organizzata nello stato di Washinton nel maggio 2019, la ragazza si era dipinta sulla bocca l’impronta di una mano rossa, con le dita che si allargavano fino alle guance, e aveva scritto le lettere MMIW sulla sua gamba.
Gesti simbolici che rientrano nella sua lotta in difesa e in onore delle vite delle donne indigene scomparse e uccise negli Stati Uniti. Si tratta di un chiaro esempio del fatto che l’atletica non sia solo uno sport o un’occasione di svago e divertimento, ma possa anche diventare un valido e potente strumento per veicolare messaggi sociali.
Ogni evento podistico Fish l’ha dedicato ad una donna indigena assassinata nel suo paese: (sua zia) Alice Looney, Jacqueline Salyers, Renee Davis e Misty Upham.