Come l’attuale pandemia sarebbe dovuta al cambiamento climatico, così una anomalia climatica avrebbe aumentato la mortalità con la Spagnola.
Condizioni estreme di stress ambientale aumentano i rischi di pandemia. Sembra un dato di fatto, un elemento reiterato nel tempo, da almeno cent’anni. Come sarebbe infatti collegata l’attuale pandemia da nuovo coronavirus alle conseguenze del cambiamento climatico, così già una “anomalia climatica” nel 1914 potrebbe aver aumentato la mortalità durante la Prima guerra mondiale e poi durante l’influenza Spagnola che ne seguì.
Di “unusual climate conditions” parlano infatti gli studiosi americani della American Geophysical Union (AGU), individuando proprio quella “anormalità” nelle condizioni climatiche del nostro pianeta che prima di tutto avrebbero portato alle gravi crisi sanitarie che seguirono il primo conflitto del 1914/1918. Piogge torrenziali e temperature insolitamente fredde hanno influenzato gli esiti di molte grandi battaglie sul fronte occidentale durante gli anni di guerra. In particolare, le cattive condizioni avrebbero avuto un ruolo nelle battaglie di Verdun e della Somme, durante le quali più di un milione di soldati furono uccisi o feriti.
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Secondo gli studi, il maltempo potrebbe anche aver esacerbato la pandemia influenzale che ha causato da 50 a 100 milioni di vite tra il 1917 e il 1919. Gli scienziati avevano di fatto già studiato a lungo la diffusione del ceppo influenzale H1N1 che causò la pandemia, ma poche ricerche si sono concentrate sulla eventualità che su quello le condizioni ambientali avrebbero svolto un ruolo importante.
Ora, nello studio pubblicato sulla rivista GeoHealth della AGU, gli scienziati hanno analizzato un nucleo di ghiaccio prelevato da un ghiacciaio nelle Alpi europee (una carota di ghiaccio estratta a 4.450 m dal Colle Gnifetti, sul Monte Rosa) per ricostruire le condizioni climatiche durante gli anni della guerra e hanno trovato anormali influssi di aria dal Nord Atlantico che influenzarono il clima in Europa dal 1914 al 1919.
La pioggia e il freddo incessanti causati da questo afflusso di aria oceanica incombevano sui principali campi di battaglia del fronte occidentale
“Le piogge torrenziali, descritte dalle cronache delle Prima Guerra Mondiale, furono probabilmente causate dal conflitto stesso: i bombardamenti elevarono polvere nell’atmosfera fornendo così i nuclei di condensazione attorno a cui le molecole d’acqua si aggregano fino a causare la pioggia – spiega Alexander More, della Harvard University. Da una parte l’anomalia aumentò le vittime del conflitto: deteriorò le condizioni di salute dei soldati, con ipotermia e indebolimento del sistema immunitario”.
E non solo: l’afflusso di aria oceanica influì anche sui modelli migratori di anatre domestiche, il principale ospite animale per i ceppi di virus influenzali H1N1.
Secondo gli studiosi, insomma, le anatre domestiche probabilmente rimasero nell’Europa occidentale nell’autunno del 1917 e 1918 a causa del maltempo, piuttosto che migrare a nord-est in Russia come fanno normalmente. Ciò li ha tenute particolarmente vicine alle popolazioni militari e civili e questo potrebbe aver favorito il passaggio del virus H1N1 agli esseri umani, attraverso l’acqua contaminata dalle deiezioni.
“Non possiamo essere certi della via che l’influenza prese, ma sappiamo che ci fu un’abbondanza di pioggia, con laghi e fiumi che straripavano e i soldati che guadavano le trincee colme d’acqua, probabilmente contaminata”.
“È interessante pensare che piogge molto intense potrebbero aver accelerato la diffusione del virus – dice Philip Landrigan, direttore del Global Public Health Program presso il Boston College, non collegato allo studio. Una delle cose che abbiamo imparato dalla pandemia COVID è che alcuni virus sembrano rimanere vitali per periodi di tempo più lunghi nell’aria umida che nell’aria secca. Quindi ha senso che se l’aria in Europa fosse insolitamente bagnata e umida durante gli anni della Prima guerra mondiale, la trasmissione del virus potrebbe essere stata accelerata”.
E oggi? Quasi in egual misura, gli studiosi sostengono che sia stata l’emergenza climatica a innescare la pandemia da Covid-19. I ricercatori del Dipartimento di Zoologia dell’Università di Cambridge suggeriscono infatti che nell’ultimo secolo l’aumento delle temperature globali abbia causato una vera e propria “esplosione” di specie di pipistrelli nella provincia cinese dello Yunnan, a confine con Myanmar e il Laos (area in cui, secondo gli studi genetici, si sarebbe originato il Sars Cov-2).
Secondo le analisi pubblicate sulla rivista Science of the Total Environment “40 specie di pipistrelli si sono trasferite nell’ultimo secolo verso la provincia cinese meridionale dello Yunnan, specie che ospitano circa 100 tipi diversi di coronavirus”. Una concentrazione in una stessa area di così tanti mammiferi alati e dei loro parassiti virali dovuta proprio al cambiamento climatico, che ha trasformato questa provincia cinese in un habitat ideale per i pipistrelli. Ecco qui il nesso.
La soluzione? “Recuperare il nostro rapporto con la natura e l’ambiente”, ci aveva detto già l’anno scorso la direttrice della sanità pubblica dell’Organizzazione mondiale della sanità, María Neira.
Facciamolo, prima che sia davvero troppo tardi.
Fonte: AGU
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