La pandemia le lascia indietro, il prezzo “salato” pagato dalle donne all’epoca del COVID

Il crollo dell'occupazione femminile post-pandemia preoccupa le donne, sia lavoratrici che disoccupate, ancor più discriminate sul lavoro.

La pandemia di Covid-19 ha approfondito le disparità di genere e le disuguaglianze sociali, con conseguenze devastanti per tutti, ma soprattutto per il futuro delle donne. Le donne restano indietro, nonostante lottino con tutte le forze per ritagliarsi un posto nella società. Infatti, a un anno dall’inizio della pandemia, le donne sono in crisi, disoccupate o costrette a lasciare il mondo del lavoro.

Con la pandemia da coronavirus che ha travolto il mondo intero, le disuguaglianze economiche, sociali, razziali e di genere preesistenti si sono approfondite e hanno raggiunto livelli insostenibili. Nel lungo periodo, esse faranno sentire i loro effetti in maniera ancora più drammatica, causando danni ancora maggiori di quelli provocati dal virus.

Tra licenziamenti, contratti non rinnovati, lockdown e chiusure scolastiche che hanno lasciato i bambini a casa con i genitori in smartworking, molte donne sono ora disoccupate o sono state sfruttate al punto di decidere di lasciare il proprio posto di lavoro oppure di cambiare carriera.

Secondo quanto rilevato dal National Women’s Law Center (NWLC), negli Stati Uniti oltre 2.3 milioni di donne hanno abbandonato la forza lavoro dal febbraio 2020, con un tasso di partecipazione femminile nel mondo del lavoro ai minimi storici, con livelli mai visti dal 1988. Solo nel mese di dicembre 2020, le donne hanno rappresentato il 100% dei posti di lavoro persi nel paese nordamericano.

In Italia, la situazione è altrettanto drammatica, nonostante fosse stato accordato il blocco dei licenziamenti nell’era Conte. Nel dicembre 2020, gli occupati sono diminuiti di 101mila unità, un numero già di per sé impressionante, ma ciò che balza all’occhio dagli ultimi dati Istat è che il crollo dell’occupazione è quasi esclusivamente femminile, con 99mila donne disoccupate o inattive. Basti pensare che dei 444mila occupati in meno registrati in Italia nel corso del 2020, il 70% è costituito da donne.

Un profondo divario retributivo

Le implicazioni di tale fenomeno non vanno sottovalutate e il rischio maggiore è l’ulteriore allargamento del divario retributivo di genere.

L’attuale gender pay gap mondiale, cioè la differenza tra il salario annuale medio percepito dalle donne e quello percepito dagli uomini, si attesta al 20%.

Negli Stati Uniti, come emerge dall’analisi dei dati forniti dall’Ufficio del censimento statunitense del NWLC, le lavoratrici guadagnano solo 82 centesimi per ogni dollaro guadagnato dai colleghi uomini; ciò si traduce in 10.157 dollari in meno di guadagno annuale medio per le donne che lavorano a tempo pieno. Ad aggravare il quadro è la questione maternità. Le madri che lavorano vengono pagate solo 70 centesimi per ogni dollaro pagato ai padri lavoratori.

Parlando dell’Italia, la situazione non è affatto rosea. La parità salariale tra uomo e donna è una chimera e nel settore privato, ad esempio, il gender pay gap è considerevolmente maggiore rispetto al settore pubblico. Il crollo occupazionale femminile in un’Italia messa a dura prova dalla pandemia testimonia quanto le donne siano state penalizzate in questa triste pagina della storia italiana. Impiegate soprattutto nei settori più colpiti dalla crisi economica, come i servizi, il turismo, la moda e l’assistenza domestica, le lavoratrici — di rado impiegate in ruoli apicali — firmano contratti spesso precari e instabili e, in certi casi, sono obbligate al part-time dagli stessi datori di lavoro.

E la pensione?

Il divario retributivo, a sua volta, influisce in maniera significativa sulle prospettive pensionistiche delle donne lavoratrici. Esiste quindi anche un gap pensionistico su cui vale la pena di riflettere. Le donne con scarso o insufficiente reddito non riescono nemmeno a risparmiare e sono condannate alla povertà.

Le donne, quindi, sono discriminate anche nella previdenza sociale. Nonostante le innovazioni introdotte negli ultimi anni, le donne che lavorano in Italia non sanno proprio come colmare l’immenso gap pensionistico rispetto agli uomini.

L’evidente disparità nei trattamenti pensionistici è legata ad un semplice dato: nel nostro paese, la percentuale di uomini coperti dal sistema previdenziale è pari al 99,3%. Di contro, solo per l’83,9% delle donne è assicurata tale copertura. Si tratta di uno scarto di ben 15,4 punti percentuali, più del doppio rispetto alla media europea, che si attesta al 7%. Alla fine, quando la lavoratrice si vedrà accreditata la pensione che le spetta, è probabile che sarà ignara del fatto che un uomo intaschi mediamente 1.654 euro, mentre una donna solo 1.064, cioè 600 euro in meno.

Fonti: NWLC/ISTAT

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