Si vede quasi a occhio nudo fra le stelle più luminose del Triangolo d’Inverno e vanta la Nebulosa Rosetta: è la costellazione dell’Unicorno
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Si vede quasi a occhio nudo fra tre delle stelle più luminose del Triangolo d’Inverno ed è ricca di oggetti celesti tra cui la Nebulosa Rosetta: è la “mitica” costellazione dell’Unicorno, nella Via Lattea, che attira da sempre astronomi e semplici appassionati. Tra storia e curiosità, ecco dove e come possiamo ammirarla.
Come tutte le costellazioni, il suo nome deriva dalla forma che appare unendo idealmente i punti delle stelle principali, che nella realtà sono ovviamente tutt’altro che punti e lontanissime tra di loro, ma che a noi appaiono “schiacciate” nella volta celeste.
L’Unicorno è una tipica costellazione invernale nell’emisfero boreale e in realtà di per sé è poco luminosa, per la presenza di poche stelle con magnitudo vicine a 4 e per la vicinanza di Orione ad ovest, Cane Minore a nordest e Cane Maggiore a sud, tutte brillantissime e che quindi contribuiscono ad oscurarla ulteriormente.
Nonostante tutto la sua celebrità la precede e storia e curiosità che la circondano non si fermano al nome.
Dove si trova
Come spiega Constellation Guide, l’Unicorno è la 35esima costellazione in termini di dimensioni, di circa 482 gradi quadrati (apparenti, si intende). Si trova nel secondo quadrante dell’emisfero settentrionale (NQ2) e può essere vista a latitudini comprese tra + 75° e – 90°, nella Via Lattea, tra Orione, Cane Maggiore e Cane Minore.
Essendo queste costellazioni molto luminose, tendono in effetti ad oscurarla. Inoltre, con ben poche stelle con magnitudo sufficiente per la visibilità a occhio nudo di per sé è poco visibile. Ma nella realtà non è così.
Infatti l’Unicorno è “incastonata” fra tre delle stelle più luminose delle sue vicine (Betelgeuse, Sirio e Procione), che costituiscono l’asterismo del Triangolo d’Inverno e quindi, paradossalmente, risulta facilmente individuabile, come se le sue vicine la “indicassero”.
Cosa include
La stella più luminosa della costellazione è Beta Monocerotis, con una magnitudine apparente di 3,76. Troviamo poi due sciami meteorici associati alla costellazione: i Monoceridi di dicembre e gli Alpha Monoceridi.
Ma soprattutto contiene l’ammasso aperto Messier 50 (NGC 2323), un oggetto di Messier, ovvero, come spiega l’Osservatorio Astronomico di Monteromano, un oggetto celeste contenuto nel celebre catalogo pubblicato nel 1774 e scritto dall’astronomo francese che gli ha dato il nome, il primo ad aver scoperto, anche se inconsapevolmente, la Nebulosa del Granchio.
E, a proposito di questi ammassi stellari, l’Unicorno include la Nebulosa Rosetta, e in particolare S Monocerotis, una gigante blu leggermente variabile parte a sua volta di un sistema a sette o più stelle, alcune osservabili anche con un telescopio amatoriale, con magnitudo tra 7 e 9.
Degna di nota è anche la regione NGC 2264, un’area di cielo che include le scintillanti palline blu dell’Ammasso Albero di Natale e della Nebulosa Cono. Il primo è un ammasso aperto con una magnitudine visiva complessiva di 3,9 e dista circa 2.400 anni luce dal sistema solare, mentre la seconda è una regione H II nella parte meridionale di NGC 2264, a circa 2.700 anni luce dalla Terra, scoperta da William Herschel il 26 dicembre 1785.
Ultima, ma non per importanza, la Nebulosa del Pelo di Volpe, nebulosa oscura diffusa in NGC 2264 e distante circa 2.700 anni luce, con questo nome perché assomiglia alla testa di una pietra ricavata dalla pelliccia di una volpe.
L’Unicorno vanta anche diverse stelle doppie e triple osservabili anche con strumenti semplici, tra cui β Monocerotis, sistema a tre stelle ben visibile ad occhio nudo nelle sere invernali boreali e la famosa Stella di Scholz, binaria composta da una nana rossa e una nana bruna, che, pur di difficile osservazione, è diventata celebre per aver attraversato circa 70.000 anni fa la nube di Oort, un ammasso di comete da cui si ritiene provengano quelle di lunga durata Hale-Bopp e Hyakutake ma che in realtà non è stata mai osservata.
Nell’Unicorno troviamo poi altre stelle “curiose”, come ζ Monocerotis, stella gialla che possiede due compagne con magnitudo 9 e 10 rispettivamente e con una grande separazione angolare, dunque facilmente risolvibile anche con piccoli strumenti, e ε Monocerotis, stella bianca con magnitudo 4, con una compagna di magnitudo 6 risolvibile con uno strumento amatoriale di media potenza.
E non solo stelle: la costellazione dell’Unicorno include anche 24 esopianeti confermati, come riportato sul catalogo Exoplanet, noti con le sigle CoRoT-1, CoRoT-10, CoRoT-11, CoRoT-12, CoRoT-13, CoRoT-14, CoRoT-15, CoRoT-18, CoRoT-20, CoRoT-20c, CoRoT-21, CoRoT-24, CoRoT-3, CoRoT-31, CoRoT-32, CoRoT-4, CoRoT-5, CoRoT-7, HD 44219, HD 45652, HD 46375, HD 52265, HD 5583, HD 64114, HD 66428, HIP 35173.
Storia e curiosità
L’Unicorno appare per la prima volta su una volta celeste disegnata dal cartografo e sacerdote olandese Petrus Plancius nel 1612 (è dunque una costellazione moderna) e fu chiamata come Monoceros Unicornis. La costellazione fu creata per riempire l’area tra le due grandi costellazioni Orione e Hydra, in uno spazio dove non ce n’erano altre introdotte in epoca greca.
Plancius ha introdotto la figura dell’unicorno in realtà perché l’animale mitico appare più volte nell’Antico Testamento della Bibbia. La costellazione, infatti, non è associata a nessun mito particolare. Comunque l’astronomo tedesco Jakob Bartsch l’ha inclusa definitivamente nella sua carta stellare del 1624 come Unicorno con l’obiettivo di dare ulteriore importanza alla figura mitologica del cavallo dal corno unico, dotato di poteri sovrannaturali e simbolo di purezza.
Fonti di riferimento: Constellation Guide / Osservatorio Astronomico di Monteromano/ exoplanet.eu
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