Una stella si avvicina troppo ad un buco nero, che la mangia, e “sputa fuori” un neutrino: gli scienziati lo trovano sulla Terra
Una stella si avvicina troppo ad un buco nero, che la mangia, e “sputa fuori” una particella fantasma. Per la prima volta nella storia un gruppo di scienziati di Humboldt University (Germania) e Deutsches Elektronen-Synchrotron – DESY (Germania), in collaborazione con la New York University, il California Institute of Technology e l’Arizona State University (Usa), ha rilevato una particella emessa a seguito di un evento astronomico come questo.
La particella rivelata è in realtà non è sconosciuta al di là del nome fantasioso, ma un neutrino, e fornisce la prova che catastrofi cosmiche come la morte di una stella mangiata da un buco nero possono essere potenti acceleratori naturali di particelle. Non solo: i neutrini si uniscono ora ai fotoni come “particelle messaggero”, ovvero oggetti microscopici che ci raccontano come era fatto il cosmo nel lontano passato.
Come i fotoni provenienti da mondi lontani infatti arrivano sulla Terra dopo tempi lunghissimi, portandoci le foto di un cosmo “antico”, così il neutrino ora rivelato – si stima – sia partito circa 700 milioni di anni fa, approssimativamente nel periodo in cui apparvero sul nostro Pianeta i primi animali.
La galassia a cui apparteneva il neutrino non ha nome (è catalogata come MASX J20570298 + 1412165) e si trova nella costellazione del Delfino. Gli scienziati stimano inoltre che l’enorme buco nero sia massiccio fino a 30 milioni di soli.
“La forza di gravità diventa sempre più forte più ti avvicini a qualcosa. Ciò significa che la gravità del buco nero attira il lato vicino della stella più fortemente del lato più lontano, determinando un effetto di allungamento – spiega Robert Stein, primo autore del lavoro – Questa differenza è chiamata forza di marea e quando la stella si avvicina, questo allungamento diventa più estremo, fino a distruggerla, e quindi lo chiamiamo un evento di distruzione mareale. È lo stesso processo che porta alle maree oceaniche sulla Terra, ma fortunatamente per noi la luna non tira abbastanza forte da distruggere la Terra”.
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La scoperta di questo incredibile neutrino ha però una storia molto lunga. Circa metà dei detriti della stella distrutta dal buco nero è stata infatti lanciata nello spazio, mentre l’altra metà si è depositata sul disco di accrescimento, un disco vorticoso attorno al buco nero, che, prima di cadere nell’oblio, in generale diventa sempre più calda e risplende luminosa. Il bagliore oggetto dello studio è stato rilevato per la prima volta il 9 aprile 2019 dalla Zwicky Transient Facility (ZTF), una dell’Osservatorio Palomar di Caltech nella California meridionale.
Sei mesi dopo, l’1 ottobre 2019, il rivelatore di neutrini IceCube al Polo Sud ha registrato un neutrino estremamente energetico proveniente proprio dalla direzione dell’evento di distruzione mareale prima identificato.
“Si è schiantato contro il ghiaccio antartico con l’energia di oltre 100 teraelettronvolt – racconta la coautrice della ricerca Anna Franckowiak – Per fare un confronto, questa è almeno dieci volte l’energia massima che può essere raggiunta dalle particelle nell’acceleratore più potente del mondo, il Large Hadron Collider presso il laboratorio europeo di fisica delle particelle del CERN a Ginevra”.
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Ma perché si è parlato di particella fantasma? I neutrini sono estremamente leggeri e interagiscono a malapena con qualsiasi cosa, potendo quindi passare inosservati anche se attraversano interi pianeti o stelle da cui il nome che nulla ha a che vedere con la loro identica chimico-fisica, perfettamente nota.
Per queste caratteristiche, anche solo catturare un singolo neutrino ad alta energia è un’osservazione notevole di per sè. In questo caso, inoltre, le analisi hanno mostrato una possibilità su 500 ce il neutrino fosse del tutto coincidente con l’evento di distruzione mareale identificato sei mesi prima. La rilevazione ha portato poi a ulteriori osservazioni con molti strumenti operanti in tutto lo spettro elettromagnetico, dalle onde radio ai raggi X.
“Questo è il primo neutrino collegato a un evento di distruzione mareale e ci fornisce prove preziose – spiega ancora Stein – Gli eventi di distruzione mareale non sono ancora ben compresi. La rilevazione del neutrino indica invece l’esistenza di un potente motore centrale vicino al disco di accrescimento, che emette particelle veloci. E l’analisi combinata dei dati provenienti da telescopi radio, ottici e ultravioletti ci fornisce un’ulteriore prova che l’evento agisce come un gigantesco acceleratore di particelle”.
La ricerca è stata oggetto di due lavori, pubblicati entrambi su Nature Astronomy.
Fonti di riferimento: DESY / Nature Astronomy 21.02.2021 / Nature Astronomy 22.02.2021 / Nasa/Youtube
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