E' una suggestiva tavolozza di colori in mostra al Metropolitan Museum of Art di New York. Riporta ancora i 6 pigmenti originali
Risale a oltre 3.400 anni fa, all’epoca del faraone Amenhotep III, vissuto tra il 1390 e il 1352 a.C. Eppure ancora oggi, a distanza di 3400 anni i pigmenti ancora resistono.
L’antico Egitto ci regala un’altra meraviglia. Come sappiamo, migliaia di anni prima dell’Impero Romano, questa civiltà nordafricana era all’avanguardia nei campi dell’arte, dell’architettura e dell’ingegneria. Molte delle creazioni si sono conservate fino ad oggi e si possono ammirare non solo in Egtitto ma anche in numerosi musei del mondo.
Se sarcofagi, sculture, gioielli e copricapi sono molto diffusi, lo è meno l’oggetto che stiamo per mostrarvi. E’ una suggestiva tavolozza di colori oggi in mostra al Metropolitan Museum of Art di New York.
Realizzato da un unico pezzo di avorio, lo strumento di questo artista include sei fori ovali che contengono ancora pigmenti blu, verdi, marroni, gialli, rossi e neri. A un’estremità della tavolozza i c’è anche un’iscrizione del faraone Amenhotep III (circa 1401-1353 aEV) in geroglifici così come l’epiteto “amato dal Re”. Il regno di Amenhotep III fu uno dei periodi più prosperi dell’antico Egitto e pieno di successi nell’arte e nella cultura. Nonostante la sua età, il design della tavolozza ricorda molti degli strumenti artistici che usiamo oggi.
Come ha sottolineato la curatrice Catharine H. Roehrig nella pubblicazione del Metropolitan, Life along the Nile: Three Egyptians of Ancient Thebes , la palette
“contiene i sei colori di base della tavolozza egiziana”.
Inoltre, altri minerali che sarebbero stati macinati e combinati con un agente legante naturale tra cui gesso, carbonio, ossidi di ferro, azzurrite blu e verde e malachite.
Anche la scelta dei colori non è casuale. Essi avrebbero avuto un forte valore simbolico per Amenhotep e il suo popolo, e l’artista avrebbe fatto scelte deliberate – regolamentate, uniformi – su quale pigmento caricare sul suo pennello in fibra di palma per decoravare tombe, templi, edifici pubblici e ceramiche.
Jenny Hill su Ancient Egypt ha spiegato il significato di ciascuno dei sei colori di base:
- Wadj (verde) significa anche “prosperare” o “essere sano”. Il geroglifico rappresentava la pianta del papiro e la pietra verde malachite (wadj). Il colore verde rappresentava vegetazione, nuova vita e fertilità.
- Dshr (rosso) era un colore potente a causa della sua associazione con il sangue e, in particolare del potere protettivo del sangue di Iside. Il rosso poteva anche rappresentare rabbia, caos e fuoco ed era strettamente associato a Set, l’imprevedibile dio delle tempeste.
- Irtyu (blu) era il colore dei cieli e quindi rappresentava l’universo. Molti templi, sarcofagi e volte sepolcrali hanno un tetto blu intenso punteggiato di minuscole stelle gialle. Il blu è anche il colore del Nilo e delle acque primordiali del caos (Nun).
- Khenet (giallo) rappresentava ciò che era eterno e indistruttibile, ed era strettamente associato all’oro (nebu o nebw) e al sole.
- Hdj (bianco) rappresentava la purezza e l’onnipotenza. Molti animali sacri (ippopotamo, buoi e mucche) erano bianchi. Gli abiti bianchi venivano indossati durante i rituali religiosi.
- Kem (nero) rappresentava la morte e l’aldilà per gli antichi egizi. Osiride è stato dato l’epiteto “il nero” perché era il re degli inferi, e sia lui che Anubi (il dio dell’imbalsamazione) erano ritratti con facce nere. Gli egiziani associavano anche il nero alla fertilità e alla resurrezione perché gran parte della loro agricoltura dipendeva dal ricco limo scuro depositato sulle rive del fiume dal Nilo durante l’inondazione.
Non è un caso dunque se tali colori fossero i più presenti nell’arte egizia.
Fonti di riferimento: MET, Ancientegyptonline
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