Il primo lockdown è stato per l’Italia, e per il mondo, una vera e propria boccata di ossigeno. Ma è propro così?
Strade vuote e animali che si riprendevano i loro spazi: il primo lockdown è stato per l’Italia, e per il mondo, una vera e propria boccata di ossigeno. Livelli di inquinamento ridotti e città più pulite. Ma non è stato esattamente così. Quello che, pare, ci sia sfuggito è che le emissioni di PM10 continuavano ad aumentare, complice il particolato derivante anche dalle caldaie a biomassa e dalle attività zootecniche.
A dirlo sono i dati registrati dalle stazioni di monitoraggio lungo tutta la Penisola pubblicati dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa), secondo cui si sono registrati superamenti del limite giornaliero per il PM10 in 155 stazioni su 534 nel 2020, mentre sono 400 quelle che hanno superato il valore raccomandato dall’Oms.
Il PM10 (materiale particolato aerodisperso di dimensione inferiore a 10 μm), costituisce da sempre una delle componenti dell’inquinamento atmosferico: parecchi studi hanno evidenziato associazioni tra le concentrazioni in massa del PM10 e un incremento sia di mortalità che di ricoveri ospedalieri per malattie cardiache e respiratorie nella popolazione generale.
L’analisi del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente
I dati del PM10 registrati nel 2020, relativi alle 534 stazioni di monitoraggio, evidenziano che il valore limite giornaliero (50 μg/m3, da non superare più di 35 volte in un anno) è stato superato in 155 stazioni (29%), in larga prevalenza (131 stazioni su 534) nel bacino padano (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia).
Per quanto riguarda il valore di riferimento dell’Organizzazione mondiale della Sanità giornaliero (50 μg/m3, da non superare più di 3 volte in un anno), è stato superato nel 2020 in 405 stazioni (75,8%). In questo caso i superamenti interessano tutte le regioni italiane, con eccezione della provincia autonoma di Bolzano.
L’indicatore relativo alla media giornaliera, per la quale è stata individuata la soglia di 50 μg/m3, serve a valutare l’esposizione acuta a breve termine. Ad essa fanno riferimento sia il valore limite di legge nazionale ed europeo (massimo numero di 35 superamenti in un anno del limite giornaliero) che il valore di riferimento proposto dall’Oms (non superare più di tre volte in un anno).
In generale, i dati del 2020 sono superiori rispetto all’anno precedente per quanto riguarda il limite di legge, che nel 2019 era stato superato nel 22% delle stazioni (115 su 521). Uno dei motivi principali è stata la minore piovosità sia a gennaio che da ottobre alla prima metà di dicembre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019. Il lockdown legato all’emergenza sanitaria non è stato insomma sufficiente per compensare una meteorologia meno favorevole alla dispersione degli inquinanti, sia perché ha avuto luogo in un periodo dell’anno in cui le concentrazioni di PM10 sono già di per sé poco elevate, sia perché i suoi effetti sul PM10 sono stati relativamente contenuti, rispetto a quelli verificatisi per il biossido di azoto.
E non solo: alcune delle sorgenti principali di particolato, come gli impianti di riscaldamento alimentati a biomassa e le attività agricole e zootecniche, non sono state interessate dal lockdown, anzi in alcuni casi si sono registrati aumenti del consumo di biomassa per il riscaldamento rispetto al periodo stagionale tipico.
Con la cattiva aria che respiriamo, quindi, ancora non ci siamo. Bene ridurre le emissioni dovute ai trasporti su strada, ma non bisogna perdere di vista che anche quelle dovute alla combustione di biomassa (e alle attività zootecniche) vanno regolamentate. Noi che possiamo fare? Adottare strategie più sostenibili partendo proprio dalle nostre case.
Fonte: SNPA
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