“Sono le polveri sottili a influire sui contagi”: nuovo studio associa ufficialmente il PM2.5 alla diffusione del Covid

Secondo uno studio, una delle cause della maggiore incidenza dell’infezione sulla popolazione sono gli effetti dell’esposizione al PM2.5.

Una specie di serratura per il virus e soprattutto per la sua azione nociva sull’organismo”. È così che le polveri sottili svolgerebbero un ruolo determinante nella diffusione dei contagi, tanto da essere decisamente più pericolosi dell’inquinamento in generale. La proteina che protegge l’organismo dai danni dell’esposizione al PM2.5 è in pratica la stessa che favorisce l’azione dannosa del Sars Cov-2.

È la conclusione cui sono giunti gli scienziati Mauro Minelli e Antonella Mattei che in uno studio pubblicato sull’International Journal of Enviromental Research and Public Health hanno spiegato che è l’esposizione alle polveri sottili a far sviluppare al corpo umano la proteina ACE2 che “diventa una sorta di serratura per il virus”.

Per questo in alcune zone d’Italia la diffusione del virus non sarebbe stata così massiccia come in Lombardia e Veneto, dove invece i livelli di PM2.5 sono più alti.

Già una ricerca precedente aveva dimostrato come sia sufficiente anche un leggero aumento della concentrazione di polveri sottili per aumentare il rischio mortalità per Covid-19. Ora i due scienziati mirano a dimostrare come non sia l’inquinamento atmosferico generalmente inteso una delle cause della maggiore incidenza dell’infezione sulla popolazione mondiale, ma gli effetti dell’esposizione delle persone al PM2.5.

Per farlo, lo studio  osservazionale nazionale ha dimostrato la significativa relazione positiva tra i tassi di incidenza di Covid-19 e i livelli non solo di PM2,5 ma anche di NO2 (biossido di azoto) in Italia, sia considerando il periodo 2016-2020 che i mesi dell’epidemia, correlati a due ulteriori fattori: l’indice di vecchiaia e la densità di popolazione.

Secondo le analisi, l’esposizione aumenta il tasso d’incidenza del Covid di 2,79 ammalati per 10mila persone se la concentrazione di PM2.5 aumenta di un microgrammo per metro cubo d’aria, e di 1,24 ammalati per 10mila persone se la concentrazione di NO2 aumenta di un microgrammo per metro cubo d’aria.

Di fatti, il nostro organismo, quando è parecchio esposto al PM2.5 sviluppa una proteina chiamata “ACE2” per difendersi da quelle polveri, ma proprio quella proteina diventa una trappola.

ACE2 – spiega Minelli – diventa una sorta di serratura per il virus e soprattutto per la sua azione nociva sull’organismo”.

Una ipotesi che potrebbe spiegare l’elevato tasso di incidenza e di mortalità da Covid-19 nelle regioni del Nord rispetto a quelle del centro-sud.

Per confermarlo – aggiunge l’immunologo su il Fatto Quotidiano – basterebbe analizzare i dati di Taranto e della sua provincia, notoriamente una delle più inquinate d’Italia, ma che da anni non registra più livelli significativi proprio di PM2.5 come rilevato dalle centraline dell’Arpa Puglia distribuite nel territorio ionico. Al 3 novembre 2020, Taranto era la penultima provincia della Puglia per tassi di incidenza da Covid-19, seguita solo dalla provincia di Lecce”.

Parlare in generale, quindi, sia di smog che di inquinamento sarebbe generico e fuorviante. Certo è che già nel mese di marzo uno studio condotto dalle Università di Bologna e di Bari e dalla Società Italiana di Medicina Ambientale era arrivato alla conclusione che le regioni più colpite sono anche quelle più inquinate.

Conclusione? Il particolato atmosferico è una delle principali cause di deterioramento polmonare. Ad esso sono collegate vere catastrofi, tanto silenziose quanto reali. E questo studio ne è una ennesima dimostrazione. Ebbene, ricordiamoci che nel nostro piccolo possiamo ancora contribuire a ridurre la produzione di polveri sottili.

Fonti: International Journal of Enviromental Research and Public Health / il Fatto Quotidiano

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