Vitamina D e Covid-19: abbiamo intervistato Giovanni Carlo Isaia, Geriatra e Presidente dell'Accademia di Medicina di Torino
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Diversi studi indicano come carenze di vitamina D possano influenzare negativamente sullo sviluppo del Covid-19, portando a conseguenze più gravi.
Tuttavia nessun protocollo in Italia ne prevede l’utilizzo né come preventivo né come terapia, mentre in Paesi come l’Inghilterra è stata recentemente disposta la somministrazione di vitamina D a 2,7 milioni di soggetti a rischio di COVID-19 (prevalentemente anziani).
Per le autorità italiane la vitamina D protegga dall’infezione da coronavirus è falso. Perché
“non ci sono attualmente evidenze scientifiche che la vitamina D giochi un ruolo nella protezione dall’infezione da nuovo coronavirus”.
Ufficialmente, infatti, la scienza non ha confermato gli effetti benefici della vitamina D sull’infezione Covid-19, ma su altre infezioni, anche respiratorie, ci sono le prove.
Quella che manca ancora, in particolare, è una sperimentazione ufficiale, con i protocolli ormai standardizzati che dimostrano se una sostanza è attiva o no su un problema di salute. Nessuno studio ha infatti somministrato in modo controllato e in doppio cieco la vitamina D su pazienti già infettati o su campioni di popolazione sana per verificare un eventuale beneficio. E in assenza di questo la scienza ufficiale non può confermare nulla.
Per questo oltre 70 scienziati italiani chiedono che il legame tra vitamina D e Covid, ancora poco studiato, sia oggetto di uno studio mirato, che potrebbe rivelarsi di grande importanza. E che nel frattempo venga effettuata la somministrazione preventiva, non essendo segnalati effetti collaterali.
Per capire meglio la questione e a che punto è la scienza sul legame tra vitamina D e Covid, abbiamo intervistato Giovanni Carlo Isaia, Geriatra e Presidente dell’Accademia di Medicina di Torino, da tempo impegnato su questo fronte, e primo firmatario della missiva rivolta alle Istituzioni, al mondo scientifico e all’opinione pubblica.
Vitamina D e Covid, a che punto siamo?
“La vitamina D, tra le sue varie funzioni, ne ha una importante di tipo immuno-regolatoria – ci spiega Isaia – che agisce sia sull’immunità innata (quella per esempio fornita dalla pelle o dalle ciglia che ci difendono da virus e batteri di qualsiasi natura) che su quella acquisita (specifica, che si genera quando un particolare agente patogeno ci attacca)”.
La vitamina D dunque – è arcinoto – ha un effetto “di potenziamento” sull’immunità e questo è dimostrato su diversi agenti patogeni.
“Ma la dimostrazione precisa che la vitamina D abbia un effetto biologico a livello di immunità acquisita contro il Covid-19 non c’è, perché non è stata ancora evidenziata. Esistono però dei dati indiretti che ci dicono che la gran parte dei pazienti affetti da Covid-19 hanno livelli bassissimi di vitamina D e dando vitamina D ad alte dosi ai pazienti si riesce in gran parte ad attenuarne le nefaste conseguenze (rianimazione o addirittura il decesso)”.
L’infezione da SARS-CoV-2 è una malattia relativamente nuova e quindi la ricerca scientifica non ha ancora dato molte risposte, tra cui l’effetto della vitamina D. Però su altri virus, incluso per esempio l’HIV ma anche il “cugino” SARS, questi benefici sono dimostrati, come conferma anche il professore.
“La vitamina D non ha alcun effetto collaterale, perché fermarci?”
“Sulla base dei dati di letteratura, noi possiamo ragionevolmente agire sia come preventivo, quindi su persone non ancora affette dall’infezione (suggerivamo gli operatori sanitari e in generale la popolazione più esposta e/o debole e a rischio). In teoria si dovrebbe somministrare in base a dosaggi plasmatici, ma poiché questo costa e la vitamina D non ha alcun effetto collaterale, si può somministrare comunque, fino a un livello piuttosto rilevante”.
Si parla anche di 4000 unità al giorno, una dose importante, considerato che il fabbisogno medio è pari a 1000 unità al giorno, come preventivo. Come terapia, ribadisce il professore, non ci sono studi statisticamente provati, ma le somministrazioni sono arrivate anche a 60.000 unità al giorno (ovviamente sotto controllo medico) con effetti positivi e molto convincenti sulle conseguenze più gravi dell’infezione.
“Abbiamo dato vitamina D ad alte dosi ad un gruppo di pazienti Covid-19 non ancora in rianimazione e non l’abbiamo dato ad un gruppo di controllo. E si è visto come trai primi solo il 2% è andato in rianimazione, tra gli altri il 50%” racconta ancora Isaia.
Come spesso succede nella scienza il punto è il rapporto rischio/beneficio. Non si parla di una molecola estranea all’organismo, mai usata prima, ma di qualcosa di ampiamente noto sia dal nostro corpo che da studi precedenti e non sono noti particolari effetti collaterali. Il professore quindi invita le autorità sanitarie ad essere meno rigide ai protocolli.
Soprattutto visto che la pandemia è tutt’altro che sotto controllo e continua a mietere vittime in tutto il mondo.
“La sperimentazione controllata, il doppio cieco, sono importantissimi per la ricerca. Ma questo vale in condizione di pace, mentre noi ora siamo in guerra. E quindi possiamo – credo – fare alcune eccezioni, considerato che la vitamina D non ha alcun effetto collaterale, almeno quella classica, il colecalciferolo (vit. D3). Potrebbe esserci una maggiore apertura di visione da parte delle autorità”.
Il documento firmato da oltre 70 scienziati
Il professore e i suoi collaboratori hanno scritto un documento che sta ricevendo le firme di molti scienziati e che chiede proprio questo, ma anche di iniziare la sperimentazione scientifica vera e propria, controllata e in doppio cieco. Ma è chiaro che questo con dei costi, che dovrebbero essere sostenute dalle Regioni. Le quali – lo ricordiamo – con la riforma del Titolo V della Costituzione hanno la gestione della sanità.
Tale sperimentazione non risulta condotta, né in corso, nemmeno all’estero. Ma nel Regno Unito – recente notizia – è deciso di fornire questo inverno gratuitamente integratori di vitamina D a oltre due milioni di persone clinicamente vulnerabili.
“Una disponibilità almeno a discutere sarebbe quanto meno opportuna” precisa il professore.
La posizione delle autorità
Ma per ora non risulta alcuna reazione. Anzi, le autorità hanno diffuso il 30 novembre una nota con la quale smentiscono gli effetti della vitamina D a proposito di cure domiciliari del Covid-19, ci rivela Isaia.
“Questo non è assolutamente vero – tuona il professore – perché ha più di 300 dati bibliografici, riscontrabili in una semplice ricerca su Pubmed. Questa è una posizione un po’ integralista. Magari anche giustificata dal punto di vista teorico. Ma qui siamo in guerra e in guerra sono lecite azioni che non sarebbero lecite in tempo di pace”.
Il documento è disponibile qui. La raccolta firme è ancora in corso.
Altre fonti di riferimento: Istituto Auxologico Italiano
- La vitamina D protegge dal coronavirus. La conferma in uno studio americano
- L’82% dei pazienti Covid-19 ha una carenza di vitamina D (e questo potrebbe incidere sulla comparsa della malattia)
- Coronavirus: la vitamina D potrebbe avere un ruolo di prevenzione e terapeutico. Lo studio italiano
- Confermato il ruolo della vitamina D nel ridurre il rischio e la letalità del coronavirus. Lo studio
- Nuova ricerca collega la carenza di vitamina D a tassi di mortalità Covid-19 più elevati