È finita la più grande missione artica di sempre. Dopo un anno di ricerche e dati il quadro sul cambiamento climatico è più chiaro.
La più grande spedizione di ricerca artica della storia è tornata alla base: dopo 13 mesi nell’Artico, la missione a bordo della nave Polarstern dell’Istituto tedesco Alfred Wegener ha consentito di raccogliere informazioni tali da fornire agli scienziati un ampio quadro sul futuro dell’Artico nel pieno della crisi climatica. E li ha resi certi di una cosa: l’Artico è l’epicentro del cambiamento climatico.
389 giorni, oltre 300 scienziati partiti nel settembre del 2019 e provenienti da 20 paesi diversi: “Abbiamo assistito a come sta morendo l’oceano Artico – ha detto Markus Rex, capo della missione. Abbiamo visto questo processo proprio fuori dalle nostre finestre”.
Gli studiosi hanno di fatto condotto ricerche e raccolto campioni, isolati dalla pandemia globale che nel frattempo cambiava la vita nel resto del mondo: “Torniamo con dati e campioni che cambieranno la ricerca sull’Artico per lungo tempo”, dice Rex.
La Polarstern era partita da Tromsø, in Norvegia, per piazzarsi su una banchisa di ghiaccio nel mare di Laptev, al largo delle coste siberiane. Il loro obiettivo era quello di lasciarsi trasportare dalle correnti marine ed esplorare così ampie porzioni del circolo polare artico e raccogliere dati e campioni per aiutare gli studi sullo stato di scioglimento del Polo Nord causato dal riscaldamento globale.
Welcome back. 🙌 Expedition leader Markus Rex and #Polarstern Captain Thomas Wunderlich at the gangway. #welcomePolarstern #Polarstern pic.twitter.com/ND6A3b8OxK
— MOSAiC Expedition (@MOSAiCArctic) October 12, 2020
La nave ha percorso più di 3mila chilometri e ha monitorato l’andamento in quattro stagioni diverse – compresa quella invernale, per la prima volta così vicino al Polo – di più di 100 parametri, utili a prevedere il progredire dei fenomeni atmosferici nella regione per i prossimi decenni.
“Abbiamo praticamente raggiunto tutto ciò che ci eravamo prefissati di fare – ha detto Rex all’Associated Press (AP). Abbiamo condotto misurazioni per un anno intero con una breve pausa”.
Il viaggio per misurare il ghiaccio e le condizioni in uno degli ambienti più difficili del pianeta è costato 177 milioni di dollari, secondo l’AP, e la missione ha corso il rischio di dover essere quasi abbandonata mesi prima, quando era stata dichiarata la pandemia.
“Chi sapeva quando siamo andati lassù che la vita avrebbe preso una svolta così sorprendentemente strana?” ha detto Carin Ashjian, un oceanografo biologico presso la Woods Hole Oceanographic Institution in Massachusetts, come riportato dal New York Times.
Eppure, la spedizione è riuscita a mantenere la rotta e completare la sua ricerca.
A record-breaking expedition ends: Never before had an icebreaker ventured so far north during Arctic winter, never before could researchers gather such urgently needed climate data in the region hardest hit by climate change (tr) #welcomePolarstern ➡️ https://t.co/75HhAmasbT pic.twitter.com/p4jO4BkBFX
— MOSAiC Expedition (@MOSAiCArctic) October 12, 2020
“Stiamo riportando una miniera di dati, insieme a innumerevoli campioni di carote di ghiaccio, neve e acqua”, racconta Rex.
Ma le osservazioni dell’equipaggio riflettono già un triste futuro per l’Artico. Rex ha avvertito che se l’attuale tendenza al riscaldamento del pianeta continua, presto l’Artico vedrà un’estate senza ghiaccio. In alcune aree una volta coperte di ghiaccio, l’equipaggio era già in grado di navigare in acque libere che si estendevano a perdita d’occhio.
“Allo stesso Polo Nord, abbiamo trovato ghiaccio gravemente eroso, sciolto, sottile e fragile”, concludono gli esperti.
Ora, gli scienziati sperano che i dati raccolti li aiutino a capire come alluvioni, incendi, tempeste e ondate di calore influenzeranno l’Artico nel prossimo secolo. Uno studio necessario per misurare il grado di pericolo cui siamo già sottoposti.
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