I residenti di un palazzo in via Cassia si sono trovati a convivere con una casa rifugio per donne vittime di soprusi, ma non sono d'accordo.
Lontano da qui, noi non le vogliamo! Hanno tuonato più o meno così i residenti di una palazzina in via Cassia, a Roma Nord, che si sono trovati a dover convivere gomito a gomito con una casa rifugio per donne vittime di soprusi. Sembra assurdo, eppure la presenza di queste donne potrebbe abbassare il valore di quelle case.
È almeno questa la giustificazione che avrebbero avanzato gli abitanti della palazzina, timorosi che – magari – una casa rifugio deprezzerebbe i loro immobili, ma anche che i loro figli potrebbero avere a che fare prima o poi con quelli delle donne ospitate. Un brutto, pessimo affare di pregiudizi a go go.
Ma pare che non ci sia nulla di nuovo sotto il sole e che, anzi, sia una prassi quando centri di accoglienza vengono aperti in determinate zone.
“Quando vengono aperte case rifugio in zone in cui ci sono case di pregio succede anche questo – racconta a la Repubblica la presidente dell’associazione Telefono Rosa, Maria Gabriella Cernieri Moscatelli. Per i condòmini, le donne sono considerate una scocciatura. Per chi pensa agli affari, la causa di un possibile deprezzamento del bene. È una questione culturale e di mentalità, pensano che non facciano parte del loro mondo. Sentire offendere persone che già in passato sono state trattate male, è un dispiacere enorme e ai Parioli, poi, è un continuo”.
Ora la questione riguarda la zona di via Cassia dove un sopralluogo della presidente Moscatelli in uno dei tre immobili sottratti alle mafie, destinato a supportare progetti sociali e che dovrebbe ospitare alcuni posti letto, ha generato la rabbia dei condomini, che non hanno perso tempo a bersagliare le povere donne già vittime di violenza.
Quanto è strano il genere umano, capace di non accettare nemmeno chi di ingiustizie ne subisce già fin troppe e di mortificare ancora e ancora, senza alcuna ragione e con estrema cattiveria.
Fonte: la Repubblica di Roma
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