Polvere di plastica “soffia” nel deserto e nei parchi nazionali Usa: oltre 1000 tonnellate l’anno

Sui parchi nazionale degli Stati Uniti ogni anno cadono circa 1000 tonnellate di polvere di plastica. Frammenti che provengono da tappeti, vestiti e vernici

Sui parchi nazionale degli Stati Uniti ogni anno cadono circa 1000 tonnellate di polvere di plastica. Frammenti microscopici che provengono probabilmente da tappeti, vestiti e persino vernici spray, spinti dalle tempeste che attraversano le città vicine. Le microplastiche dunque arrivano anche dall’aria.

Che fossero presenti ormai ovunque è risaputo ma che fossero addirittura in grado di volare per chilometri e spingersi all’interno dei parchi incontaminati è una novità. A scoprirlo per caso sono stati gli scienziati della Utah State University. I risultati, i primi a prendere in esame le origini geografiche, si aggiungono alla crescente evidenza che l’inquinamento da microplastiche è comune in tutto il mondo.

Secondo lo studio pubblicato su Science, le aree remote e selvagge e i parchi nazionali degli Stati Uniti occidentali ricevono una grande quantità d i polvere di plastica ogni anno, forse 1000 tonnellate, pari a oltre 123 milioni di bottiglie di plastica. Fino a un quarto dei microscopici pezzi di plastica possono provenire da tempeste che attraversano le città vicine, mentre il resto probabilmente ha origine in luoghi più remoti.

“Abbiamo creato qualcosa che non scomparirà”, ha detto Janice Brahney,  autrice principale del nuovo documento. “Ora circola in tutto il mondo.”

L’obiettivo iniziale dello studio condotto da Brahney non era tenere traccia dell’inquinamento ma studiare il modo in cui la polvere soffiata dal vento forniva nutrienti agli ecosistemi. Così la scienziata ha avviato uno studio pilota con il National Atmospher Deposition Program per raccogliere tale polvere attraverso una rete di stazioni meteorologiche solitamente utilizzate per campionare l’acqua piovana negli Stati Uniti, principalmente in località remote.

Esaminando i campioni provenienti da 11 aree remote degli Stati Uniti occidentali, tra cui il Grand Canyon e il Joshua Tree National Park, Brahney ha notato al microscopio frammenti dai colori vivaci.

“Mi sono reso conto che stavo guardando la deposizione di materie plastiche, il che è stato davvero scioccante”.

Brahney non doveva studiare l’inquinamento da microplastica, quindi faceva le analisi nel suo tempo libero, trascorrendo un “anno molto lungo e stressante” di serate e fine settimana contando quasi 15.000 piccoli pezzi, molti dei quali larghi meno di un terzo della larghezza di un capello umano.

La ricercatrice ha trovato molte piccole fibre, probabilmente legate a vestiti, tappeti e altri tessuti. Il personale di laboratorio del team ha utilizzato apparecchiature di campionamento sterili, protezione personale e protocolli per ridurre al minimo la contaminazione da particelle. La maggior parte delle materie plastiche depositate nei campioni sia asciutti che bagnati erano microfibre provenienti da abbigliamento e materiali industriali. Circa il 30% delle particelle erano microsfere dai colori vivaci, ma non quelle comunemente associate ai prodotti per la cura personale: erano acriliche e probabilmente derivavano da vernici e rivestimenti industriali. Altre particelle erano frammenti di pezzi di plastica più grandi.

“Siamo rimasti scioccati dai tassi di deposizione stimati e abbiamo continuato a cercare di capire dove i nostri calcoli erano sbagliati”, ha detto Brahney. “Abbiamo quindi confermato attraverso 32 diverse scansioni di particelle che circa il 4% delle particelle atmosferiche analizzate da queste posizioni remote erano polimeri sintetici”.

Nel 2017 il mondo ha prodotto 348 milioni di tonnellate di plastica e la produzione globale non mostra segni di rallentamento. Negli Stati Uniti, la produzione pro capite di rifiuti di plastica è di 340 grammi al giorno. L’elevata resilienza e la longevità rendono le materie plastiche particolarmente utilizzate nella vita di tutti i giorni, ma queste stesse proprietà portano alla progressiva frammentazione anziché al degrado nell’ambiente. Si sa che queste “microplastiche” si accumulano nelle acque reflue, nei fiumi e, in definitiva, negli oceani del mondo – e come dimostra la squadra di Brahney- anche nell’atmosfera.

“Diversi studi hanno tentato di quantificare il ciclo plastico globale ma non erano a conoscenza dell’influeza aatmosferica”, ha detto Brahney. “I nostri dati mostrano che il ciclo di plastica ricorda il ciclo globale dell’acqua, con vite atmosferiche, oceaniche e terrestri.”

I risultati di questo studio evidenziano la fonte, il trasporto e il destino della plastica sulle superfici terrestri, ma anche la contaminazione degli ambienti naturali, in questo caso americani dagli Stati Uniti.

“Questo risultato, combinato con la distribuzione dimensionale delle materie plastiche identificate e la relazione con i modelli climatici su scala globale, suggeriscono che le fonti di emissione della plastica si sono estese ben oltre i nostri centri abitati e, attraverso la loro longevità, si sono propagate a spirale attraverso il sistema terrestre” concludono i ricercatori.

Adesso il team di ricerca sta lavorando con gli scienziati specializzati nel trasporto di polveri per studiare come le particelle di plastica si muovano attraverso l’atmosfera, da dove potrebbero provenire e quanto potrebbero resistere nell’aria. Gran parte di questa microplastica potrebbe circolare da anni, se non decenni.

Le particelle potrebbero essersi prima depositate nei campi agricoli, nei deserti o nell’oceano e poi essere state nuovamente raccolte dai venti come parte di un “ciclo di plastica” globale.

Fonti di riferimento: Science, Utah State University 

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