Per poter rallentare in modo significativo l’aumento di CO2 dovremmo ridurre le emissioni dal 20 al 30% per un periodo di almeno 6-12 mesi
I livelli di CO2 nell’atmosfera hanno raggiunto un nuovo record, nonostante il lockdown degli scorsi mesi.
La concentrazione di anidride carbonica misurata durante il mese di maggio è infatti pari a 417,2 parti per milione, 2,4 ppm in più rispetto al 2019.
I dati sono stati rilevati dalla stazione di Mauna Loa, alle Hawaii, punto di riferimento nel programma Global Atmosphere Watch della World Meteorological Organization (WMO), che monitora la situazione in oltre 50 paesi dal 1958.
Negli anni ’60, l’incremento annuale di CO2 si aggirava intorno allo 0,8 ppm, raddoppiando a 1,6 ppm all’anno negli anni ’80 e mantenendosi stabile a 1,5 ppm negli anni ’90.
Il tasso di crescita medio è aumentato a circa 2,0 ppm all’anno negli anni 2000 ed è cresciuto ulteriormente fino a 2,4 ppm negli ultimi dieci anni.
Secondo gli scienziati del NOAA e Scripps Institution of Oceanography dell’Università della California di San Diego, quello registrato quest’anno è il valore mensile più alto da diversi milioni di anni.
Questo potrebbe stupirci, soprattutto perché per due mesi buona parte del mondo ha subito un arresto quasi totale a causa dell’emergenza coronavirus, con una conseguente diminuzione delle emissioni.
Durante il lockdown, le emissioni di biossido di carbonio sono infatti diminuite in media del 17% a livello globale.
In assenza del lockdown, forse l’aumento sarebbe stato di 2,8 ppm, secondo Ralph Keeling, professore della Scripps Institution of Oceanography, ma in ogni caso la riduzione è stata troppo bassa per fare la differenza, come spiega lo stesso Keeling,
“Le persone potrebbero essere sorprese nello scoprire che la risposta al coronavirus non abbia influenzato maggiormente i livelli di CO2.
Ma l’accumulo di CO2 è un po’ come la spazzatura in una discarica. Mentre continuiamo a emettere, continua ad accumularsi. La crisi ha rallentato le emissioni, ma non abbastanza per apparire in modo sensibile a Mauna Loa.
Ciò che conta molto di più è il percorso che decideremo di intraprendere mentre usciamo da questa situazione”, ha dichiarato il Dottor Keeling.
Le concentrazioni di CO2 sono soggette a fluttuazioni stagionali e regionali. Il massimo stagionale di solito viene rilevato nell’emisfero settentrionale proprio a maggio, prima che la crescita della vegetazione assorba CO2 dall’atmosfera, dopodiché i livelli di CO2 risultano più bassi per il resto dell’anno.
Il calo complessivo delle emissioni annuali si aggirerà probabilmente tra il 4% e il 7% rispetto al 2019, percentuali che non determineranno una differenza sostanziale nella capacità del mondo di soddisfare gli obiettivi dell’accordo di Parigi e di mantenere il riscaldamento globale al di sotto della soglia dei 2°C, valore che gli scienziati ritengono necessario per evitare effetti catastrofici.
Insomma, pochi mesi di stop non hanno influito in modo significativo sulle centinaia di miliardi di tonnellate di CO2 accumulate in oltre un secolo e mezzo di utilizzo di combustibili fossili.
Per poter rallentare in modo significativo l’aumento di CO2, dovremmo ridurre le emissioni dal 20 al 30% per un periodo di almeno 6-12 mesi, secondo gli scienziati dello Scripps Research Institute.
Per questo motivo, gli attivisti ambientali sottolineano la necessità di una ripartenza green dopo la crisi sanitaria: i governi dovrebbero prendere molto sul serio la costruzione di un mondo più pulito, più sano e più sicuro, perché il collasso climatico è una vera e propria emergenza e come tale va trattata.
Fonti di riferimento: WMO/NOAA
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