Il coronavirus non ferma la deforestazione in Brasile: rispetto al 2019, da inizio anno c'è un aumento del 55%. E gli ambientalisti accusano Bolsonaro
Il coronavirus non ferma la deforestazione in Brasile: rispetto al 2019, da inizio anno c’è un aumento del 55%.Il mese scorso oltre 405 chilometri quadrati della foresta pluviale sono stati abbattuti rispetto ai 248 dell’aprile 2019 con conseguente perdita della biodiversità che mette in pericolo, anche la sopravvivenza delle popolazioni indigene. E sotto accusa ci sono le politiche di Jair Bolsonaro
L’Amazzonia continua ad essere deforestata e questo dovrebbe parecchio preoccuparci scrivono gli scienziati in un rapporto pubblicato su Frontiers in Medicine perché togliendo habitat naturale agli animali, si favoriranno future pandemie con animali selvatici che si spingono sempre più verso aree urbane. Il National Institute of Space Research (Inpe) del Brasile ha dichiarato che l’area distrutta ad aprile era del 64% più grande rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Nei primi quattro mesi del 2020, la deforestazione da parte di taglialegna e allevatori illegali è aumentata del 55%.
Gli ambientalisti sostengono che le politiche e la retorica di Jair Bolsonaro incoraggiano l’attività illegale. Ma mentre il presidente nega, in questi giorni ha autorizzato lo spiegamento di forze armate nella regione e non ha offerto alcun tipo di supporto alle popolazioni indigene che rischierebbero lo sterminio se si diffondesse il coronavirus. Nel dettaglio, secondo l’Inpe oltre 405 kmq dell’Amazzonia sono stati deforestati il mese scorso. L’anno scorso ad aprile erano 248. Nonostante il Brasile sia uno dei paesi più colpiti del Sud America, con 141mila casi e quasi 10mila morti per coronavirus, la pandemia non ha fermato la distruzione della foresta.
“La pandemia non ha aiutato perché apparentemente ci sono meno agenti in giro e ovviamente i taglialegna illegali non si preoccupano del virus nelle aree remote dell’Amazzonia”, ha dichiarato Paulo Barreto, ricercatore senior del gruppo di conservazione no profit Imazon.
Bolsonaro dal canto suo ha comunque favorito lo sfruttamento delle terre ancestrali delle popolazioni indigene. Tra legname e miniere, la vita delle tribù è messa a serio rischio, il presidente però rigetta ogni accusa sostenendo di attuare politiche di conservazione. Un dato è certo, a pagarne le conseguenze sono come sempre la natura e le tribù indigene che continuano a inviare appelli perché si sentono abbandonati e non sono per nulla preparati a un possibile focolaio.
“Nessuna attenzione specifica è stata data alle comunità indigene.La pandemia ha fatto emergere che non ci sono dottori e nessuna infrastruttura sanitaria in queste comunità. Non c’è istruzione, né connessioni telefoniche, né computer, né internet”, ha detto a The New Humanitarian Gregorio Díaz Mirabal, capo coordinatore delle organizzazioni indigene del bacino amazzonico.
Secondo l’ultimo censimento che risale al 2010, circa 817mila brasiliani si identificano come indigeni, occupando il 12,6 per cento del territorio nazionale. L’estrazione mineraria, l’estrazione di petrolio e la deforestazione hanno invaso le loro terre e minacciato il loro stile di vita. Nonostante il fatto che la regione si stia ancora riprendendo dai catastrofici incendi del 2019 , Bolsonaro ha annunciato ad aprile che una vasta riserva amazzonica potrebbe essere aperta allo sfruttamento, mettendo a serio rischio le terre ancestrali.
Fonti: INPE/Mongabay/BBC/The new humanitarian
Leggi anche:
- Bolsonaro spedisce i militari in Amazzonia contro la deforestazione (dando loro autorità sulle agenzie ambientali)
- La deforestazione ha giocato un ruolo determinante negli incendi che hanno devastato l’Australia
- Coronavirus: Aiutateci a evitare un genocidio. L’appello del capo indigeno, mentre continua la deforestazione illegale