Malattia di Kawasaki: cos’è, sintomi e cure

Cos’è nello specifico la malattia di Kawasaki? Quali sono i suoi sintomi e perché ora desta tanta preoccupazione?

È delle ultime ore l’allerta diramata dai pediatri inglesi relativa alla seppur rara possibilità di riscontrare nei bambini, come effetto collaterale del Covid-19, la presenza di una grave infiammazione, una vasculite nota come sindrome di Kawasaki. Ma cos’è nello specifico la malattia di Kawasaki? Quali sono i suoi sintomi?

Nel Regno Unito, nelle ultime settimane, un avviso inviato ai medici dalla Pediatric Intensive Care Society informava che i reparti di terapia intensiva di Londra e di altre parti del Paese stavano curando bambini gravemente malati con sintomi insoliti:

Contestualmente, proprio oggi è arrivata dal reparto Pediatria di Bergamo la conferma di un aumento nella comparsa della malattia di Kawasaki nei bambini negli ultimi mesi. Da imputare al coronavirus:

Analizziamo, allora, la natura di questa malattia.

Cos’è la malattia di Kawasaki

In parole semplici la malattia di Kawasaki (KD) è una vasculite, ossia una infiammazione dei vasi sanguigni che tende a colpire neonati e bambini (la maggior parte dei bambini con sindrome di Kawasaki ha tra 1 e 8 anni, ma anche neonati e adolescenti possano esserne colpiti).

Si tratta in sostanza di un’infiammazione dei vasi di medie dimensioni febbrile autolimitante (cioè in grado di andare incontro a risoluzione spontanea senza il necessario utilizzo di farmaci) che interessa l’età pediatrica. Nei casi più gravi, può associarsi anche ad aneurismi delle arterie coronarie (CAA) che, se non trattati, possono portare alla morte (in genere le eventuali complicanze cardiache iniziano nella fase subacuta della sindrome, a circa 1-4 settimane dall’esordio).

La malattia è più comune nei bambini di origine asiatica e può presentarsi tutto l’arco dell’anno, ma più spesso in primavera o d’inverno. Inoltre, è stato dimostrato che l’insorgenza della malattia è 1,5 volte più comune nel sesso maschile rispetto a quello femminile.

Le cause

Cosa provochi la malattia di Kawasaki è a tutt’oggi ignoto. Ma le manifestazioni cliniche e i dati suggeriscono l’intervento di uno o più agenti infettivi e l’innesco di una anomala risposta immunologica nei bambini geneticamente predisposti.

I sintomi della malattia di Kawasaki

La malattia esordisce con febbre spesso superiore a 39 °C, che aumenta e diminuisce tra una e tre settimane. Gli occhi diventano molto rossi e nel giro di  5 giorni, compare un’eruzione cutanea rossa simile a orticaria, spesso disomogenea, in genere sul tronco, attorno all’area del pannolino e sulle mucose, ad esempio sulle pareti della bocca o della vagina. Ad arrossirsi sono anche la gola e la lingua (“rosso fragola”), e le labbra diventano spaccate, arrossate e secche.

Inoltre, la regione dei palmi delle mani diventa rossa o color rosso porpora e sia le mani e che i piedi spesso possono gonfiarsi. Anche i linfonodi del collo si ingrandiscono frequentemente.

Si accompagnano a questo quadro irritabilità, letargia occasionale e dolore addominale di tipo colico.

Ricapitolando, i sintomi della malattia di Kawasaki sono:

  • febbre alta (che non risponde agli antibiotici o ai farmaci come l’ibuprofene o il paracetamolo)
  • occhi rossi e congiuntivite
  • lingua “a fragola” (con papille rilevate)
  • esantema maculo-papuloso che interessa inizialmente il tronco e la regione perineale, per poi estendersi al viso e agli arti
  • gola arrossata
  • labbra secche e spaccata
  • squame sulla pelle
  • dolori articolari
  • linfonodi ingrossati e dolore al collo
  • irritabilità
  • letargia occasionale
  • dolore addominale di tipo colico
  • aritmia

Inoltre, si può presentare un pallore sulle unghie (leuconichia parziale), mentre i palmi delle mani e dei piedi possono diventare rossi e manifestare un edema “a guanto” e “a calzino”. Verso il decimo giorno dall’esordio, inizia una desquamazione della pelle delle dita e della regione perineale.

mani malattia kawasaki

©Chalie Chulapornsiri/Shutterstock

piedi malattia kawasaki

©PJUTISIR/Shutterstock

Nella maggior parte dei casi, il decorso della malattia è autolimitante e si tende a guarire spontaneamente in un arco di tempo variabile da 2 a 12 settimane.

Diagnosi della malattia di Kawasaki

In genere, per eseguire la diagnosi di sindrome di Kawasaki, vengono eseguiti esami del sangue e colture ematiche (quando i bambini presentano almeno 4 sintomi predefiniti su 5) e culture della gola per escludere altri disturbi con sintomi simili, come il morbillo o l’artrite idiopatica giovanile.

Nel caso in cui venga accertata la sindrome, i bambini vengono sottoposti a elettrocardiogramma e a un’ecografia del cuore, per rilevare eventuali aneurismi coronarici, perdite dalle valvole cardiache, infiammazione del pericardio o infiammazione del muscolo cardiaco (miocardite). Alcune anomalie non appaiono immediatamente, per questo alcuni esami sono ripetuti più volte nel corso dei mesi.

Come si cura la malattia di Kawasaki

Secondo quanto si legge sul sito dell’Istituto superiore di sanità, le terapie principali sono: l’acido acetilsalicilico e/o le immunoglobuline per via endovenosa.

Acido acetilsalicilico 

Viene usato per curare la malattia di Kawasaki, perché:

  • può alleviare il dolore e il disagio
  • può contribuire a ridurre la febbre
  • è un anti-infiammatorio e quindi riduce il gonfiore
  • previene la formazione di coaguli di sangue
  • aiuta a prevenire lo sviluppo di complicazioni cardiache

Immunoglobuline per via endovenosa (IVIG):

la cura consiste nell’iniettare direttamente in vena (via endovenosa) una soluzione di anticorpi (immunoglobuline) prelevati da donatori sani. Le IVIG possono ridurre la febbre e il rischio di disturbi cardiaci.

Inoltre, se una seconda dose di IVIG non dovesse essere efficace, possono essere impiegati come primo trattamento I i corticosteroidi qualora il bambino malato sia a rischio di complicazioni cardiache. Così si possono anche prescrivere farmaci biologici (anticorpi monoclonali con funzione anti-infiammatoria) e antibiotici, in pazienti che presentano infezioni batteriche.

Fonte: ISS 

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