Dal faggio abruzzese il segreto per far fronte ai cambiamenti climatici

Uno studio ha evidenziato la capacità delle piante di produrre nuove foglie usando riserve di carbonio accumulate anni prima

Le piante sono organismi viventi complessi e i meccanismi delicati che consentono loro di sopravvivere e svilupparsi risentono in modo particolare dei cambiamenti climatici.

Gli alberi che crescono nella regione mediterranea sono tra i più vulnerabili alle modificazioni del clima: temperature primaverili sopra la media provocano ad esempio la ripresa vegetativa anticipata delle piante esponendo le giovani gemme alle fatali gelate tardive.

È quanto si è verificato nei boschi del Centro e del Sud Italia nel 2016 quando la temperatura è scesa a -6,5°C dopo un inverno particolarmente caldo. Nella faggeta di Selva Piana, in provincia dell’Aquila, gli alberi avevano già prodotto le nuove foglie, che sono andate completamente perse durante la gelata.

Per le piante, le foglie sono indispensabili poiché consentono loro di effettuare il processo della fotosintesi, essenziale perché l’organismo vegetale possa continuare a crescere, produrre nuove foglie, organi riproduttivi e sopravvivere.

I faggi abruzzesi sono però riusciti a riformare gemme e foglie nonostante fossero completamente defoliati e lo hanno fatto attingendo alle riserve di carbonio immagazzinato nei loro tessuti.

Questa prova di resilienza dei faggi contro gli effetti dei cambiamenti climatici è stata studiata da un team internazionali di ricercatori.

Lo studio ha stimato l’età media del carbonio presente nelle riserve dei faggi abbruzzesi attraverso la datazione con radiocarbonio, con lo scopo di determinarne l’origine.
Dai risultati è emerso che per produrre nuove foglie, i faggi hanno attinto da riserve di carbonio via via più vecchie: un mese dopo la gelata, gli alberi stavano utilizzando il carbonio immagazzinato grazie alla fotosintesi del 2011, ben 5 anni prima.
Nel momento immediatamente precedente alla nascita delle nuove foglie, i faggi stavano usando riserve accumulate addirittura nove anni prima.

“Questi dati dimostrano per la prima volta che, per sopravvivere a periodi senza apporto di carboidrati da fotosintesi, alberi di faggio completamente defoliati sono in grado di mobilizzare le riserve immagazzinate diversi anni prima. Il contenuto di riserve della faggeta studiata è risultato ristabilito al termine della stagione vegetativa del 2016, confermando la plasticità del faggio agli stress ambientali”, ha spiegato Ettore D’Andrea, principale autore dello studio.

Faggeta

La faggeta durante lo studio. Foto Ettore D’Andrea

I faggi hanno dimostrato di possedere la resilienza necessaria ad affrontare eventi estremi, attingendo alle riserve di carbonio accumulate negli anni, ma secondo Giorgio Matteucci, direttore del Cnr-Isafom, gli effetti dei cambiamenti climatici potrebbero ridurre le risposte degli ecosistemi:

“È importante proseguire nelle ricerche per valutare se l’aumento di frequenza di fattori di stress (gelate, ondate di calore, siccità) determinato dal cambiamento climatico possa ridurre le capacità di risposta degli ecosistemi, anche per dare indicazioni finalizzate all’adattamento”.

Lo studio è stato portato avanti dal Consiglio nazionale delle ricerche- Istituto per i sistemi agricoli e forestali del mediterraneo (Cnr-Isafom), dall’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri (Cnr-Iret) e dall’Istituto per la biogeochimica del Max-Planck di Jena (Germania) e pubblicato su New Phytologist.

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Tatiana Maselli

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