Oltre agli incendi nella foresta amazzonica, altri roghi interessano diverse zone del pianeta tra cui i più numerosi nell'Africa sub-sahariana
Bruciano i vari polmoni verdi del Pianeta. Brucia anche l’Artico privo di ghiacci e l’Amazzonia in fiamme sta facendo il giro del mondo. Ma i roghi stanno consumando anche l’Africa Sub-sahariana.
Basta consultare la mappa degli incendi della NASA disponibile a questo link per rendersi conto delle vaste aree nel Pianeta che stanno letteralmente mangiandosi ettari ed ettari di foreste pluviali e non solo. La mappa sembra essere diventata in questi giorni una delle pagine più visitate (e ben venga visto lo scarso interesse per questi argomenti dimostrato fino ad ora) e mostra in rosso le aree in cui vengono registrati incendi.
Tra le zone interessate troviamo la Russia, la Siberia, l’Alaska, l’Oceania e l’Europa orientale, dove la perdita di vegetazione potrebbe avere gravi ripercussioni per il pianeta.
This is the biggest global issue the media should be covering now. Amazon, Siberia, Africa & the Middle East are on fire. Spread the word and live more sustainably to stop #ClimateChange before it’s too late.#AmazonRainforest #AmazonFire #PrayforAmazonas https://t.co/uOvsIqxYRw pic.twitter.com/kfx5T58KYt
— Treejer (🛖🌳🛖) (@TreejerTalks) August 22, 2019
La regione più colpita, però, sembra essere l’Africa sub-sahariana: secondo uno studio trasmesso dall’Agenzia spaziale europea (ESA), qui si sono concentrati il 70% degli incendi del pianeta, con migliaia di focolai attivi in Tanzania, Congo, Angola, Madagascar, circa 5 volte più di quelli registrati in Amazzonia.
In queste aree gli incendi sono comuni in questo periodo dell’anno e possono essere di origine naturale o essere causati dagli agricoltori, che appiccano il fuoco per liberare terreni e avviarli alla alla coltivazione.
Gli incendi che interessano la savana sono roghi fisiologici che avvengono in modo naturale per favorire la crescita di alcune specie vegetali e hanno un impatto ambientale inferiore rispetto a quelli che distruggono le foreste: in questo caso gli incendi, sebbene siano rilevati dalle immagini satellitari, difficilmente causano danni alle piante poiché il passaggio del fuoco è talmente rapido da interessare solo il terreno.
Gli incendi che riguardano la foresta vengono invece appiccati legalmente o illegalmente dagli agricoltori che applicano il principio del “taglia e brucia” per fare spazio alle coltivazioni prima della stagione autunnale delle piogge.
A detta degli agricoltori questa tecnica agricola, oltre a liberare la terra dalle piante, fornisce nutrimento al terreno grazie alla cenere e diminuisce l’insorgenza di malattie nelle colture.
La tecnica del “taglia e brucia” è invece molto criticata dagli ambientalisti, poiché causa deforestazione, erosione e impoverimento prematuro del suolo e perdita di biodiversità. Inoltre, stiamo parlando di una regione dove la siccità e la mancanza di acqua causa ogni giorno morti, guerre e carestie.
I roghi sono generalmente controllati dagli agricoltori, ma può succedere che alcuni sfuggano a tale controllo a causa del vento e che incendino zone fuori dalle aree stabilite. In questo modo diventano difficili da gestire e spegnere e possono raggiungere le vicine foreste o i centri abitati.
Gli incendi, di qualsiasi natura, causano poi grandi quantità di fumi che peggiorano notevolmente la qualità dell’aria: secondo l’ESA, a febbraio 2019 questi incendi sono stati responsabili del 25-35% delle emissioni totali annue di gas serra nell’atmosfera.
Sotto la pressione dell’opinione pubblica e degli ambientalisti, la situazione in Amazzonia è diventata argomento del vertice del G7 dello scorso sabato durante il quale sono stati stanziati 20 milioni di dollari da destinare alla lotta agli incendi, poi rifiutati dal Governo brasiliano.
Gli incendi in Africa hanno attirato decisamente meno attenzione, nonostante le fiamme interessino un’area di oltre un milione di miglia quadrate nel bacino del Congo, spesso descritto come il “secondo polmone verde” del pianeta dopo l’Amazzonia stessa.
You're so "worried" about climate and biodiversity that you don't care about the thousand fires in Angola, DR Congo, Madagascar and Zambia. Maybe because they don't compete with the inneficient farmers that your government has to subsidize. pic.twitter.com/aQbRDri82y
— Caneta Desesquerdizadora (@Desesquerdizada) August 24, 2019
In queste regioni infatti sorgono le foreste africane, che coprono diversi paesi tra cui la Repubblica Democratica del Congo, Gabon, Camerun e Madagascar.
Come per l’Amazzonia, anche le foreste africane assorbono CO2 immagazzinando 115 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, equivalenti alle emissioni di combustibili fossili prodotte dagli Stati Uniti in 12 anni. Oltre a giocare un ruolo fondamentale nella regolazione del clima del Pianeta, le foreste in Sud Africa sono abitate da milioni di indigeni, e rappresentano uno scrigno di biodiversità ospitando migliaia di specie animali e vegetali.
Per tuttu questi motivi, anche gli incendi che avvengono in Sud Africa meritano la stessa attenzione di quelli che stanno colpendo la foresta amazzonica e andrebbero monitorati.
«Facciamo presto. In Siberia e Amazzonia sono mancati interventi tempestivi e gli incendi hanno assunto proporzioni drammatiche. Chiediamo ai governi dei Paesi del bacino del Congo di adottare misure adeguate per impedire che le fiamme dalla savana si diffondano nella foresta» è anche l’appello di Martina Borghi, campagna foreste di Greenpeace Italia.
Anche perché la foresta del bacino del Congo ospita milioni di indigeni che ne sono anche i principali custodi, nonché migliaia di specie animali e vegetali.
Le multinazionali hanno infatti già preso possesso di 5 milioni di ettari di foresta in Africa e la domanda di petrolio, legname e prodotti agricoli sta minacciando sempre più questo secondo polmone verde, provocandone la deforestazione con gravi danni per l’ambiente, per le popolazioni indigene e per tutti noi. Non restiamo indifferenti!
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Tatiana Maselli
Photo credit: NASA